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E’ la fine di un’epoca, c’è poco da dire. Correva il 2013, per la precisione era il 24 febbraio: quel giorno il presidente uscente della provincia di Roma Nicola Zingaretti vinceva le regionali del Lazio contro Francesco Storace ed entrava per la prima volta nella sede di via Cristoforo Colombo, il Palazzo di Fantozzi, dove sarebbe rimasto per quasi 10 anni, grazie anche alla rielezione centrata sul filo di lana nel 2018. In quell’occasione fu abile a sfruttare le divisioni del campo avversario e a mettersi (di poco) alle spalle il candidato di centrodestra Stefano Parisi e quella dei cinquestelle Roberta Lombardi, che qualche anno dopo – nel marzo 2021, nel pieno del periodo giallorosso, quando Giuseppe Conte era ancora “un punto fortissimo di riferimento di tutte le forze progressiste” – sarebbe però entrata in giunta al suo fianco.

In pratica un secolo, fa verrebbe da commentare alla luce delle ultime vibranti polemiche che si sono accese sulla successione all’ex segretario Pd, che stamattina ha rassegnato le dimissioni da presidente della regione, com’era divenuto inevitabile in virtù del suo sbarco a Montecitorio. Decisione appunto attesa, che arriva in una fase di grandissima incertezza per il centrosinistra a livello sia nazionale che locale, dopo la batosta delle politiche dello scorso settembre, nel momento della distanza massima con il Terzo Polo da un lato e il Movimento 5 Stelle dall’altro e nel pieno della crisi d’identità che si è ormai impossessata del partito.

Un tourbillon di difficoltà che naturalmente sta pesando sulla scelta del successore di Zingaretti, ma che in fondo, per paradosso, potrebbe anche semplificare non poco questo processo. Se fino alle politiche, infatti, si parlava di numerosi possibili candidati alla regione e di scontri, più o meno latenti, in giunta e nel partito per prendere il testimone del presidente uscente, oggi la situazione è completamente cambiata. La sconfitta del 25 settembre, la crisi Pd che si trascina da allora e il no affermato da Conte qualche giorno fa all’alleanza nel Lazio hanno fortemente ristretto il novero delle opzioni realisticamente percorribili.

Anche perché dall’altra parte ci sono Carlo Calenda e Matteo Renzi che propongono di convergere uniti sul nome di Alessio D’Amato, non un esponente politico qualsiasi, ma un uomo dalla solida provenienza di sinistra – a differenza, ad esempio, di Letizia Moratti in Lombardia – plenipotenziario della sanità laziale e volto di punta nella lotta al Covid-19. D’Amato era uno dei candidati naturali alla successione a Zingaretti insieme al vicepresidente Daniele Leodori, le cui quotazioni apparivano però in ribasso.

Il motivo anche qui è presto spiegato: Leodori sarebbe stato il candidato perfetto del campo larghissimo da Calenda a Conte – il perimetro dell’attuale maggioranza di Zingaretti – o, quantomeno, di una coalizione a tre formata da Pd, M5s e sinistra. Solo che i pentastellati si sono di fatto tirati indietro, con la conseguenza di aver spinto il Pd verso D’Amato, che può portare in dote l’appoggio di Calenda e Renzi e che sarebbe stato campo in ogni caso, anche laddove il Partito democratico avesse deciso di prendere altre strade, in sostanza quasi autocondannandosi alla sconfitta, com’è accaduto alle politiche, per assenza di compagni di viaggio.

Nel frattempo dall’altra parte, in casa centrodestra, la situazione appare ancora ferma alle voci e alle mezze notizie non confermate. Il nome più accreditato sarebbe quello di Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana e della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, di cui si era parlato nelle scorse settimane anche come possibile ministro della Salute.

Le alternative più credibili, tutte politiche, conducono invece a due nomi noti del centrodestra romano e laziale e ora anche nazionale: la meloniana di ferro Chiara Colosimo che in questi anni ha guidato l’opposizione a Zingaretti in consiglio regionale e l’ex vicepresidente del Lazio Luciano Ciocchetti. Entrambi sono stati eletti il 25 settembre alla Camera dei Deputati con Fratelli d’Italia.

Lazio, finisce l'era Zingaretti. Il Pd schiera D'Amato, accordo col Terzo polo

Di Fernando Castaldi

Se fino alle politiche si parlava di numerosi possibili candidati alla regione e di scontri, più o meno latenti, in giunta e nel Pd per prendere il testimone del presidente uscente, oggi la situazione è completamente cambiata. La sconfitta del 25 settembre, la crisi che si trascina da allora e il no di Conte all’alleanza nel Lazio hanno fortemente ristretto il novero delle opzioni: il candidato dei Dem sarà l’assessore alla Sanità e uomo-chiave della campagna vaccinale, già lanciato da Calenda e Renzi

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