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Per essere un’industria ancora in fasce, il comparto dell’idrogeno sembra avere davanti un futuro luminoso. Oggi se ne produce poco e quasi esclusivamente mediante combustibili fossili, ma la produzione di idrogeno verde (via elettrolisi, utilizzando acqua ed energia pulita) promette di svolgere un ruolo importante nella decarbonizzazione dei settori più complessi da convertire, come acciaio, cemento e trasporti marittimi. Questa prospettiva è alla base di un’accelerazione globale, sia sul fronte della ricerca che su quello di piani e finanziamenti statali.

L’ultimo rapporto dell’Agenzia internazionale dell’energia, il primo del suo genere sul settore dell’idrogeno, rileva un’impennata di nuovi brevetti incentrati sull’abbassamento delle emissioni. Le innovazioni green sono già più del doppio di quelle relative alle tecnologie consolidate, e nel 2020 rappresentavano quasi l’80% di tutti i nuovi brevetti del settore. La crescita è guidata principalmente dalla ricerca nell’elettrolisi, terreno su cui le regioni più innovative stanno competendo per ospitare la prima fase di lancio industriale. E secondo i dati, l’Europa sta consolidando la posizione di leader nel settore.

Il Vecchio continente è fonte del 28% dei brevetti sull’idrogeno, forte della spinta tedesca (11% del totale globale), francese (6%) e olandese (3%). Aiuta l’obiettivo europeo, sostenuto dalla relativa strategia, di arrivare a produrre 10 milioni di tonnellate all’anno entro il 2030. Segue il Giappone con il 24% dei brevetti totali depositati e la spinta ineguagliata sul comparto dell’automotive. Entrambe le macro-regioni hanno visto crescere significativamente la ricerca e lo sviluppo nell’ultimo decennio, al contrario degli Stati Uniti, che mantengono il terzo posto sul podio (20%) ma stanno moltiplicando gli sforzi – riversando denaro nel settore attraverso l’Inflation reduction Act.

Corea del Sud e Cina segnano risultati più modesti, ma in rapido aumento. E proprio questo trend sta preoccupando i Paesi dell’Occidente geopolitico, che temono una riedizione di quanto avvenuto con i pannelli solari – un comparto strategico per la transizione, al pari dell’idrogeno, ma quasi interamente in mano a Pechino – a dispetto della loro leadership nel settore. Nello scorso decennio, a forza di sussidi, ricerca e technology transfer, il partito-Stato ha consolidato la propria industria e abbassato i prezzi del fotovoltaico al punto di diventare l’origine di quasi tutti i pannelli solari venduti al mondo.

Il prossimo round di competizione ruota attorno all’elettrolizzatore, il macchinario che permette di separare la molecola di idrogeno dall’acqua. In tutto il mondo si sta accelerando nel realizzare elettrolizzatori e impianti per produrre idrogeno verde su scala industriale (BloombergNEF stima che la produzione mondiale di elettrolizzatori dovrà crescere di 91 volte entro il 2030 per soddisfare la domanda). Non fa eccezione la Cina, che produce elettrolizzatori tecnologicamente inferiori, molto meno efficienti ma molto più economici – fino al 75% – rispetto a quelli occidentali.

L’altro dato di BloombergNEF è raggelante: oltre il 40% di tutti gli elettrolizzatori prodotti oggi proviene dalla Cina. E se è vero che le aziende cinesi servono ancora in gran parte il mercato nazionale, è vero anche che stanno iniziando a espandere le vendite all’estero e migliorando le proprie soluzioni tecnologiche. Diversi analisti del settore prevedono che l’efficienza degli elettrolizzatori cinesi migliorerà, erodendo ogni vantaggio tecnologico che le aziende statunitensi ed europee hanno attualmente. Esattamente come successe con l’industria del fotovoltaico. Ma stavolta i Paesi occidentali sembrano intenzionati a combattere.

Elettrolisi ricerca

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