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Benjamin Netanyahu l’aveva detto chiaramente: una delle principali priorità del suo nuovo mandato da primo ministro israeliano è l’ampliamento della normalizzazione tra lo Stato ebraico e il mondo arabo-musulmano dopo gli Accordi di Abramo firmati nell’agosto 2020 con Bahrein ed Emirati Arabi Uniti, e gli Stati Uniti mediatori. Marocco e Sudan avevano sottoscritto gli accordi nei mesi successivi.

Netanyahu avrebbe dovuto recarsi in visita negli Emirati Arabi Uniti dopo la firma. Ma il viaggio è stato più volte rinviato per diversi ragioni, dalla pandemia passando per i problemi di approvazione della rotta di volo con la Giordania e le crisi politiche interne. È stato così Naftali Bennett il primo capo di governo israeliano a volare ad Abu Dhabi, nel giugno scorso.

“Una visita tempestiva ad Abu Dhabi sottolinea questo obiettivo ed evidenzia anche il fulcro degli Accordi di Abramo, cioè la pace con gli Emirati Arabi Uniti, che sono molto popolari in Israele”, spiega Shalom Lipner, un quarto di secolo passato all’ufficio del primo ministro israeliano (con sette capi di governo diversi) e oggi nonresident senior fellow del think tank statunitense Atlantic Council, a Formiche.net.

Il tutto, però, senza dimenticare il rapporto con gli Stati Uniti. “Nella sua nota di congratulazioni a Netanyahu, il presidente Joe Biden ha sottolineato il suo rapporto di lunga data con il primo ministro e il suo impegno a preservare gli stretti legami tra i due Paesi”, osserva Lipner. “Allo stesso tempo, i portavoce dell’amministrazione hanno ripetutamente affermato che gli Stati Uniti si opporranno a misure che mettano a rischio la possibilità futura di una soluzione a due Stati. Le tensioni su questo fronte e anche, potenzialmente, sulle prossime mosse per contrastare le ambizioni nucleari dell’Iran metteranno a dura prova la capacità di Israele e degli Stati Uniti di procedere di pari passo”, aggiunge.

Un’altra sfida per Netanyahu in politica estera riguarda i rapporti con la Russia di Vladimir Putin. Il primo ministro raccoglie il testimone da Yair Lapid, che da ministro degli Esteri e da primo ministro ad interim ha preso una netta posizione a sostegno dell’Ucraina. Il nuovo ministro degli Esteri israeliano, Eli Cohen, ha dichiarato che presenterà una nuova politica “responsabile” sulla guerra in Ucraina. “Netanyahu è sempre stato orgoglioso della sua capacità di gestire la politica estera di Israele, compreso il dialogo con il presidente Putin”, commenta Lipner. “È logico che punti a una politica sull’Ucraina che si allinei ai valori occidentali e che offra a Kyiv un’assistenza adeguata, preservando al contempo un rapporto costruttivo con Mosca. Resta da vedere se riuscirà in questa scomoda impresa”, spiega ancora.

“Con la guerra in Ucraina che ha mostrato i legami russi con l’Iran a diventare molto più stretti e le relazioni russo-americane a peggiorare, Netanyahu potrebbe essere meno in grado di avere lo stesso buon rapporto di lavoro che aveva avuto in passato con Vladimir Putin” e di avere meno spazio “per manovrare con successo tra Washington e Mosca”, aveva spiegato a inizio novembre Mark Katz, professore alla George Mason University e anch’egli nonresident senior fellow dell’Atlantic Council.

Ma guai a sottovalutare la tradizionale instabilità politica israeliana. Come dimostra la recente visita alla Spianata delle Moschee (per gli ebrei Monte del Tempio) di Ben Gvir, ministro della Sicurezza nazionale e leader del partito di ultradestra Otzma Yehudit (Potere ebraico), le questioni religiose rischiano di segnare il percorso del nuovo governo guidato da Netanyahu. L’Autorità nazionale palestinese ha definito la passeggiata di Gvir, scortato dalla polizia, “un’incursione”, “una provocazione senza precedenti e pericolosa”.

“Particolarmente controverse saranno le questioni che riguardano religione e Stato, con i partner ortodossi della coalizione di Netanyahu chiedono e lavorano per leggi allineate alla loro rigorosa interpretazione della legge ebraica”, sostiene Lipner. “La conversione all’ebraismo, l’immigrazione in Israele e la certificazione delle pratiche kashrut saranno tra le questioni più probabilmente interessate. E scateneranno una reazione da parte delle comunità che si oppongono a qualsiasi intromissioni nella loro vita personale e nazionale”, conclude.

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