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Il ritorno cinese (in presenza) al forum economico di Davos è segnato dall’incontro — a Zurigo — del super consigliere Liu He con la segretaria al Tesoro statunitense, Janet Yellen. Liu, membro del Politburo del Partito Comunista Cinese ed economista a cui sono affidati i principali dossier (soprattutto quelli internazionali) si muoverà all’interno di un contesto ansioso di comprendere le prossime evoluzioni della Repubblica popolare — un interesse che la riunione globale svizzera aveva già rivolto al leader Xi Jinping, che nel 2017 aveva in qualche modo usato quell’assise per il lancio pubblico della Nuova Era della Cina nel mondo.

Ma Liu questa volta si siederà su una sedia apparentemente più scomoda. Le contraddizioni sulla gestione della pandemia preoccupano gli attori economici globali da oltre due anni, mentre da due giorni sono nuovi crucci a lasciare perplessi. L’economia cinese è rallentata notevolmente — frutto anche delle rigidissime misure per il controllo dei contagi — e per di più il Paese sembra (per la prima volta da decenni) destinato a un invecchiamento demografico che ne frena ulteriormente ambizioni di crescita.

Tutti i media si stanno occupando in questi giorni dell’economia cinese, che rallenta bruscamente, con la crescita del 2022 tra le peggiori del mondo, visto che secondo i dati di martedì, il Pil è cresciuto del 2,9% nel periodo ottobre-dicembre rispetto a un anno prima, in rallentamento rispetto al ritmo del 3,9% del terzo trimestre. Il dato del Pil si abbina con un altro uscito da Pechino contemporaneamente. Nel 2022 la popolazione cinese è diminuita per la prima volta dopo decenni, in un cambiamento storico che si prevede avrà conseguenze a lungo termine per l’economia nazionale e globale. Secondo diversi outlook, nel 2023 la Cina non sarà più il Paese popoloso del mondo (sarà sorpassato dall’India), dopo essere stato a lungo una fonte cruciale di manodopera e di domanda, alimentando la crescita in Cina e a livello internazionale.

Se abbinati, sono due elementi la cui diffusione non rafforza certamente la posizione di Liu nel faccia a faccia con Yellen. Pechino ha scelto di mostrarsi meno forte e sicura agli occhi statunitensi, oppure è stato uno scivolone nella comunicazione? Difficile pensare alla seconda ipotesi, vista l’attenzione che solitamente il Partito/Stato riserva alla narrazione. Anche perché, contemporaneamente all’incontro di Davos, è stata resa pubblica anche la data della visita di Antony Blinken in Cina: il segretario di Stato sarà a Pechino il 5 e 6 di febbraio, alla guida di una delegazione politico-economica.

Il viaggio di Blinken fa seguito all’incontro di Joe Biden con Xi in Indonesia, durante il G20 a novembre. In quell’occasione, Biden si è impegnato a “mantenere aperte le linee di comunicazione” con Pechino in un momento di peggioramento delle tensioni bilaterali. La visita, così come l’incontro con Liu He di Yellen, è un banco di prova per verificare se si possa aprire la strada a rapporti più produttivi tra gli Stati Uniti e la Cina, alla luce delle relazioni sempre più rancorose su questioni che vanno dal destino Taiwan alla politica commerciale, fino alle preoccupazioni americane per il rispetto dei diritti umani da parte di Pechino (vettore per spingere sul confronto tra modelli, democrazie contro autoritarismi).

Blinken vedrà Qin Gang, recentemente nominato ministro degli Esteri dopo la promozione a capo delle relazioni internazionali del Partito/Stato di Wang Yi (in questo momento molto attivo nel cercare contatti con la sponda europea e recuperare le relazioni che sembrano allontanarsi). L’americano conosce Qin in quanto per anni ha ricoperto il ruolo di ambasciatore negli Stati Uniti costruendo una serie buone di relazioni (soprattutto col mondo business). Secondo alcune interpretazioni, la scelta della feluca alla guida del ministero degli Esteri rappresenta un tentativo di Pechino di migliorare le comunicazioni con Washington.

Qin è stato molto critico dell’Occidente in passato, ma in questo nuova fase potrebbe cercare di stringere, almeno sul piano del confronto retorico, le distanze sfruttando contatti e capacità sviluppati a DC. In questo tentativo di rimodellare le relazioni con gli Usa, Pechino cerca di coinvolgere anche l’Europa. Nei giorni (più o meno) in cui Blinken sarà in Cina, Wang sarà in Germania e Belgio, mentre le ambasciate europee stanno portando avanti un lavoro meno aggressivo e più orientato a un vittimismo tattico. Un esempio è la reazione alla decisione di alcuni Paesi europei di chiedere test Covid prima di permettere l’ingresso dei cinesi — a causa della diffusione profonda del coronavirus in Cina. Si è parlato di “sinofobia” e di trattamenti discriminatori, sebbene Pechino abbia applicato misure simili, anzi più severe, per oltre due anni.

In questa fase, la postura cinese sembra orientata al mostrarsi meno forte con gli attori occidentali pur mantenendo invece l’interesse a fornire di sé l’immagine di potenza di riferimento con il Sud del mondo (e la narrazione vittimismo in questo contatto può essere un utile punto di contatto a detrimento dell‘Occidente). Lo ha dimostrato lo stesso Qin durante il tradizionale viaggio africano con cui — come da trentatré anni — ha inaugurato le sue attività internazionali. Nei prossimi giorni, ripartendo da Davos, anche Yellen sarà in Africa — segno di come al di là del dialogo, Stati Uniti e Cina si marchino stretto. Ci sono tentativi di trovare spazi di comunicazione, restano altri spazi di netto confronto.

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