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In un quadro internazionale che appariva cristallizzato, scosso da un’inattesa, grave emergenza pandemica, ma con rapporti tra Paesi, nazioni e alleanze che apparivano consolidati, certezze date per scontate si sono polverizzate con l’aggressione russa all’Ucraina. Questo evento ha spazzato l’idea che il futuro delle operazioni militari fosse limitato sostanzialmente a quelle di polizia internazionale, con esiti non sempre positivi, come si è visto in Afghanistan, ma che comunque avrebbero utilizzato forze leggere, in ambienti anche ostili ma senza la necessità di capacità di alta valenza.

Erano situazioni di crisi in cui i sistemi dei singoli Paesi avrebbero operato facendo riferimento a un quadro cooperativo che si sarebbe evoluto in una sorta di specializzazione non pianificata, in cui ci si attendeva che strategie, informazioni, Intelligence e comunicazioni fossero uno sfondo predeterminato, cui dare un contributo in termini di capacità operative.

Questa ipotesi, frutto di un ottimismo ontologico, avrebbe potuto portare lo strumento militare italiano a un’evoluzione monodimensionale, evoluzione cui però l’Aeronautica militare ha saputo sfuggire.

Qualcuno avrebbe potuto nutrire delle perplessità di fronte a decisioni che sembravano non privilegiare la punta di lancia, i velivoli da combattimento, reparti con denominazioni gloriose, che sono giustamente da salvaguardare. Decisioni come quella di puntare, primi in Europa, sui sistemi a pilotaggio remoto, cui conferire la coccarda della Strega del 28° Gruppo, oppure quella di investire risorse molto importanti nella guerra elettronica, nella capacità airborne early warning (Aew) e nelle conseguenti capacità di comando e controllo aeroportato hanno forse fatto storcere il naso a chi guardava al passato. Ma i fatti di questi mesi ci dimostrano che chi rimane ancorato alle concezioni del secolo scorso rischia di avere amare sorprese, cui non si può rimediare se non in tempi incompatibili con le urgenze del momento.

Ecco dunque l’Aeronautica militare ben consapevole di avere un ruolo che non si esaurisce nelle classiche missioni di intercettazione, contraerea e supporto aereo ravvicinato, ma operi con successo in un ambiente multidimensionale, dove i rapporti con le altre componenti non si possono limitare a uno scambio di compiti e di mission report, ma devono fondersi in un sistema integrato in cui lo scambio di informazioni avvenga con un flusso continuo multi-direzionale, opportunamente strutturato e filtrato, in modo da fornire ai decisori strategici tutte, e sole, le informazioni necessarie a prendere le decisioni.

Si tratta dunque di una nuova cultura operativa. Acquisirla permette poi di misurarsi e integrarsi in un più ampio ambito multinazionale, che sia quello strutturato dell’Alleanza Atlantica oppure dell’Unione europea, nella sua ancora embrionale capacità militare integrata, oppure quello a volte problematico delle coalizioni di volenterosi che hanno caratterizzato la storia degli ultimi decenni.

È una cultura che sta diventando patrimonio comune e condiviso della Forza armata e sta coinvolgendo anche altre componenti dello strumento militare nazionale. Ma al di là degli aspetti funzionali, per trasformarsi in capacità che possano risultare determinanti serve anche una valenza dimensionale, che può essere assicurata solo da risorse finanziarie superiori a quelle attualmente disponibili e soprattutto garantite nel tempo. 

Queste considerazioni valgono per tutte le componenti dello strumento militare ma per l’Aeronautica, attesa l’importanza delle risorse economiche necessarie, hanno una valenza particolare, che non deve essere sottaciuta. 

In buona sostanza, oggi l’Aeronautica dispone di tutte, o quasi, le capacità necessarie a dare un contributo alle operazioni delle Alleanze e delle coalizioni cui i decisori politici decidono di partecipare, ma certo non nelle dimensioni quantitative che possano renderla determinante, come invece potrebbe risultare, attese le capacità esprimibili.

È chiaro che i progressi in questa direzione dipendono da fattori in primo luogo politici, ma che necessariamente investono anche la dimensione industriale in un’ottica che non può, né deve, essere limitata all’ambito nazionale. C’è la necessità di un concreto dialogo nel quadro della Nato e in quello dell’Ue, possibilmente allargato alle altre potenze like-minded, per identificare obiettivi cui dare il necessario contributo nazionale, in un quadro armonico di concreta sostenibilità, così da rendere efficace l’azione politica.

La Forza armata in questi decenni ha acquisito una piena consapevolezza delle capacità che deve esprimere per essere uno strumento adeguato della politica di Difesa e in generale della politica estera nazionale. È necessario che tale consapevolezza e questa cultura ormai radicata si consolidino, in modo che il nostro Paese possa agire da protagonista sulla scena internazionale.  

Intervista apparsa sul numero 142 della rivista Airpress

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L’Aeronautica militare sa di dover operare con successo in un ambiente multidimensionale, dove i rapporti con le altre componenti, nazionali e internazionali, devono fondersi in un sistema integrato. Si tratta di una nuova cultura operativa, la cui acquisizione permette di misurarsi e integrarsi in un ambito globale, che sia quello delle alleanze di riferimento, Nato e Ue, o nelle coalizioni di Paesi like-minded. Il punto del generale Vincenzo Camporini, già capo di Stato maggiore della Difesa e dell’Aeronautica

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