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Al Qaeda ha rilasciato una registrazione di 35 minuti che il gruppo sostiene essere stata fatta dal suo leader Ayman al-Zawahiri, il quale si ritiene sia stato ucciso in un raid statunitense nell’agosto del 2022.

La registrazione non è datata e la trascrizione non indica chiaramente la data in cui potrebbe essere stata effettuata. Ma è evidente che questo crea un alone di mistero sulle sorti del leader qaedista. È anche possibile che il gruppo abbia voluto attendere un momento ritenuto significativo per diffondere l’audio.

Zawahiri — leader storico qaedista — è stato ucciso in un attacco statunitense in Afghanistan. Da anni viveva in una bolla iper protetta nascosto perché su di lui pendeva anche una taglia “dead or alive” dell’Fbi.

L’operazione per localizzarlo e ucciderlo è stata il risultato di un lavoro persistente della comunità di intelligence statunitense: un successo, il più grande colpo inferto al gruppo militante dall’uccisione del suo fondatore Osama bin Laden nel 2011.

Al Qaeda non ha nominato un successore. Ma Saif al-Adel, un misterioso e riservato ex ufficiale delle forze speciali egiziane su cui c’è una taglia statunitense da 10 milioni di euro, è il membro di alto livello di Al Qaeda considerato dagli osservatori il più palpabile dei nomi per ascendere alla leadership.

I passaggi alla testa di queste organizzazioni sono molto delicati. Potrebbero esacerbare divisioni interne, e magari allentare la presa sui proseliti e bloccare i processi di reclutamento — linfa di certi gruppi, che puntano ad allargare costantemente la propria base.

Di solito, le uccisioni dei grandi leader vengono ufficializzate con forme di elogio al martirare, anche se non subito. Per al Zawahiri questo non è (ancora) stato fatto, e mantenere i dubbi sulla sua condizione (o sulla sua morte), può servire a rafforzare il carisma e il mistero attorno ad Al-Qaeda.

Non c’è da sorprendersi di quanto succede, vista la storia di al Qaeda e altri gruppi nel mentire sulla morte dei leader. “I Talebani hanno tenuto nascosta la morte del Mullah Omar per anni, rivelandola solo quando sono stati costretti dalla necessità di ottenere l’approvazione dei vertici dei negoziati internazionali”, ricorda Raffaello Pantucci, senior fellow del RSIS di Singapore.

“Non è chiaro cosa significhi questo silenzio per l’organizzazione e per la più ampia minaccia terroristica di Al-Qaeda, ma non sembra positivo per il gruppo”, spiega Pantucci in un’analisi per il think tank indiano ORF. “Il comportamento di Al-Qaeda negli ultimi tre mesi rafforza questa valutazione: è sempre più difficile credere che il gruppo possa esercitare la stessa minaccia, visto l’esaurimento della sua leadership”.

Al Zawahiri fu nominato dopo sei settimane dall’uccisione ad Abbottabad — in un’altro storico raid americano — di bin Laden. Ma il processo fu relativamente breve anche perché era noto da tempo che il medico egiziano poi diventato leader terrorista era il numero due del fondatore del gruppo.

Ora manca una struttura chiara e alcune filiali — coma quella yemenita, da sempre molto considerata — hanno avviato attività sempre più in forma indipendente. Queste branche erano gruppi jihadisti locali che in precedenza avevano giurato fedeltà ad al-Qaeda, ma per molti versi sono sempre rimasti attori indipendenti. D’altronde, è questa natura decentrata della rete di al-Qaeda — con le varie fazioni ideologicamente allineate ma di fatto attive su interessi personali — a suggerire che la morte di al Zawahiri non abbia avuto un impatto significativo sul funzionamento complessivo del network.

Il mandato di Zawahiri è stato considerato un discreto successo, dal momento che ha impedito ad Al Qaeda di crollare durante la fulminea ascesa dello Stato islamico, il gruppo estremista lanciato da Abu Bakr al Baghdadi, che è diventato il suo rivale esistenziale tra i jihadisti sunniti. Zawahiri è da sempre stato un teorico, famoso per i lunghi libri e le predicazioni. Ma un comandante con poca presa, incapace di mantenere il controllo sulle filiali e di organizzare azioni spettacolari.

Zawahiri ha in parte vissuto per vedere gli alleati afghani di al Qaeda, i Talebani, tornare al potere. Lo considerava una forma di rivincita contro l’Occidente e un potenziale slancio per nuovo proselitismo. I Talebani sono al potere a Kabul dall’agosto 2021, ma “in realtà [Zawahiri] si è lasciato alle spalle un’organizzazione allo sbando”, spiega in un’analisi Cole Bunzel, della Hoover Institution di Stanford.

Per Bunzel, che a inizio mese ha analizzato la situazione del jihadismo nel 2022 per il Wilson Center, le turbolenze ai vertici non sono state accompagnate da cambiamenti drastici o da nuovi vantaggi sul campo di battaglia, con le attività di al Qaeda e Is che “hanno generalmente seguito gli schemi del 2021”. Chissà se la nuova ambiguità su al Zawahiri cambierà qualcosa?

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