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Desidero segnalare ai lettori di Formiche alcuni limiti della discussione pubblica sulla tragedia di Cutro. Mi riferisco in particolare al nesso che lega intimamente le dimensioni operative della sicurezza e della solidarietà.

Questi limiti indicano che in Italia la “diffusione della cultura della sicurezza” (una delle novità della legge 124 del 2007) richiede un ulteriore sforzo.

Quanto lodevolmente è stato fatto non basta ancora, serve un impegno maggiore nelle scuole superiori, nelle università e verso tutti i cittadini. Una adeguata sensibilizzazione servirebbe anche nei confronti dei partiti politici per evitare approcci approssimativi.

È per questo che, in occasione della discussione parlamentare di oggi, intendo indicare otto punti che meritano, a mio avviso, un maggiore approfondimento del mondo politico e mediatico.

1) Conciliare solidarietà umana e contrasto alla criminalità organizzata è doveroso per ragioni morali e politiche, ma è anche molto utile.

Per una serie di ragioni pratiche l’interazione sul campo tra soccorsi e polizia di prevenzione –nel senso più ampio del termine – è spesso fondamentale per il successo dell’azione investigativa delle forze di sicurezza;

2) Come ho ampiamente sperimentato sul campo nei Balcani e approfondito nel mio libro “Intervento Umanitario e Missioni di pace. Una guida non retorica” (i riferimenti si possono trovare nel sito del Ministero della Difesa) le organizzazioni non governative e altre associazioni della società civile costituiscono “oggettivamente” un supporto prezioso per l’attività di prevenzione e contrasto della criminalità organizzata e del terrorismo.

Per ragioni di brevità evito di citare l’ampia casistica in materia; mi limito a citare il prezioso apporto delle comunità immigrate all’ antiterrorismo e le relazioni di fiducia che si creano tra diaspore e operatori della sicurezza, spesso proprio sin dalle fasi di emergenza e di prima accoglienza;

3) C’è un importantissimo lavoro da fare prima di ricorrere alla dimensione giudiziaria. La magistratura dovrebbe rappresentare solo l’ultima spiaggia. Tra l’altro possono esserci errori anche molto gravi che di per sé non prefigurano ipotesi di reato, ma non per questo gli accadimenti non devono essere analizzati a fondo e eventualmente condurre a sanzioni disciplinari nei confronti di chi ha sbagliato.

Cultura della sicurezza significa anche che ciascuna amministrazione pubblica deve dotarsi di ispettorati interni efficienti, quali ad esempio, quello della Farnesina, Ministero che ha anche il vantaggio di potersi avvalere del Comando Carabinieri MAECI, posto alle dipendenze funzionali del Ministro degli Esteri tramite il Segretario Generale.

4) Viceversa nella ricerca della verità la politica appare in contraddizione con se stessa. Da un lato (a mio avviso giustamente) si lamenta per il ruolo troppo pervasivo della magistratura, dall’altro lo alimenta perché non utilizza quanto e come dovrebbe per ricercare la verità dei fatti gli strumenti che la politica e le amministrazioni pubbliche hanno (o dovrebbero avere) a loro disposizione.

5) Consapevole delle competenze e del ruolo “duale” della Guardia Costiera (monitoraggio e operazioni per il soccorso in mare da un lato, vigilanza delle coste per conto della Marina Militare dall’altro) mi aspettavo che il ministro Matteo Salvini avviasse immediatamente un procedimento di carattere ispettivo del Ministero di cui è titolare per capire cosa era successo in mare prima della tragedia di Cutro. E in particolare verificare – d’intesa con il Comando Generale – se ci fosse qualche errore (anche in buona fede) nell’azione svolta a Roma o in Calabria dal Corpo delle Capitanerie di Porto e/o nei molteplici livelli di comunicazione del coordinamento interministeriale.

Così non è stato.  È vero che lo stesso è avvenuto in altre occasioni, ma il fatto è apparso subito in tutta la sua tragica drammaticità ed era doveroso far luce su come hanno funzionato (o meglio non funzionato) i soccorsi in mare.

Con una reazione tempestiva anche il dibattito politico avrebbe probabilmente preso una piega diversa. Secondo me hanno anche sbagliato gli onorevoli Fratoianni e Bonelli a denunciare in procura senza aspettare il dibattito parlamentare di oggi. A meno che non disponessero di elementi molto specifici configurabili come notizie di reato e relative fattispecie. In questo caso in quanto pubblici ufficiali avevano l’obbligo di andare in procura, ma questa iniziativa non dovrebbe essere stata resa pubblica.

Il ricorso alla magistratura è un preciso dovere di un pubblico ufficiale, ma da tenere riservato perché in fase preliminare la pubblicità può – come è a tutti noto – pregiudicare o peggio vanificare le indagini.

6) Non voglio minimizzare le dichiarazioni del ministro Piantedosi, ma il problema politico principale non sono le sue improvvide dichiarazioni. Il vero mistero da svelare è perché dopo il duplice intervento della Guardia di Finanza la Guardia Costiera non è intervenuta. E qui torniamo alla catena di comando ed al ruolo del Ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini.

Il presidente del Consiglio sostiene che alle 22:30 Frontex ha segnalato il barcone sovraccarico di migranti, ma non l’emergenza. Ma se il naufragio non è ancora in atto, nelle ore successive le condizioni meteorologiche sono via via peggiorate senza che un adeguato intervento di soccorso in mare fosse predisposto e tentato.

7) I prefetti sono abituati a rimediare agli errori dei politici, ma la mia impressione è che sia un po’ troppo facile fare di Matteo Piantedosi l’unico capro espiatorio nonostante le sue dichiarazioni.

Sarà importante verificare le sue parole sulle molteplici comunicazioni interministeriali che si sono succedute nelle ore drammatiche dopo la segnalazione di Frontex. Non escudo che nella ricostruzione dei fatti una parte delle attività sia dipesa dal Viminale e altri aspetti importanti da altri dicasteri.

8) Nessuno pensa che qualcuno nel governo abbia voluto intenzionalmente la strage come si è chiesta retoricamente Giorgia Meloni. Cito a memoria: “qualcuno veramente pensa che….?

Il punto è un altro. Il Presidente Joe Biden ha costruito una lunga carriera (tra alti e bassi), e uno dei punti di forza della sua popolarità è stato ammettere gli errori suoi e/o dei suoi collaboratori quando ci sono stati.

Penso che dopo i primi mesi di esperienza a Palazzo Chigi dovrebbe prendere esempio dal Presidente Biden ed evitare l'”arrocco” con il conseguente rischio di dover difendere l’indifendibile.

Il presidente dei Conservatori Europei ha tutto da guadagnare – anche a livello internazionale – ammettendo la possibilità che qualcuno dei suoi o delle strutture operative possa aver sbagliato.

Machiavelli sosteneva che un bravo Principe si distingue innanzitutto dai collaboratori che ha scelto, che devono avere due caratteristiche: essere a) competenti; b) fedeli al Principe.

Mi rendo conto che nei governi di coalizione i margini di scelta sono più limitati. Tuttavia se il Presidente Meloni decidesse di difendere tutto e tutti senza tirare pubblicamente le orecchie a nessuno dei suoi ministri quando combinano guai farebbe, io credo, un clamoroso autogol.

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