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Se il termometro per misurare lo stato di salute delle democrazie occidentali è il livello di diffusione del politicamente corretto, la diagnosi è preoccupante. Questa è una delle tesi che si trovano all’interno di “Non me ne frego. La crisi delle democrazie occidentali (e Giorgia Meloni non c’entra)”, il libro del giornalista e autore televisivo Massimiliano Lenzi. Già il titolo, “volutamente provocatorio”, è un tentativo di sdoganare “i pregiudizi del politicamente corretto”. I due punti di vista sono quelli di Luca Ricolfi e di Giordano Bruno Guerri (nella parte finale). Ed ecco il cuore del problema: “Il restringimento del dibattito pubblico, che in maniera manichea si divide in bene e male, arrampicandosi spesso a categorie novecentesche che appartengono alla storia e non al presente”.

Si riferisce all’accusa di fascismo che durante la campagna elettorale (e non solo) è stata rivolta al premier Giorgia Meloni e ai suoi?

Sicuramente questo è uno degli aspetti che tratto all’interno del libro perché è emblematico della discussione manichea che è parte dei “mali” della nostra democrazia. A ben guardare, però, l’accusa di fascismo rivolta a Meloni e ai compagni di viaggio, è un tentativo di nascondere una sostanziale assenza di argomenti reali.

Nel titolo del suo libro si spiega che Meloni “non c’entra” con la crisi delle democrazie.

Ma è evidente che non c’entri. Meloni rappresenta una base elettorale ed è una protagonista della scena politica. L’esortazione del libro è quindi quella di valutare il suo operato sulla base dei fatti, non dei pregiudizi. Non sappiamo se il presidente del Consiglio sia “la cura” per la democrazia italiana, certo è che si sta muovendo molto bene.

Questi risultati che sta ottenendo Meloni contribuiranno a smontare i pregiudizi?

Non so, mi auguro di sì. Una cosa è certa: non si può certo accusarla di incoerenza. Sul piano internazionale ha seguito la linea atlantista, posizionandosi saldamente accanto agli Stati Uniti, alla Nato e sostenendo la resistenza ucraina senza se e senza ma. Si sta muovendo come una vera leader europea: ha lanciato il piano Mattei rafforzando i rapporti italiani con i Paesi del nord Africa, cercando vie alternative per l’approvvigionamento energetico.

Nel libro si parla a più riprese del fenomeno dell’astensionismo. Viene però trattato quasi fosse un elemento identitario nell’elettorato. Perché?

Di fatto lo è diventato. E, assieme al politicamente corretto, è uno dei “mali” delle democrazie occidentali. È diventato un elemento identitario perché il partito di chi non vota è diventato maggioritario. Non voto, ergo sum.

C’è un’approfondita analisi del problema nel testo, ma non si trova la soluzione. A chi spetta questo arduo compito?

Teoricamente alla politica. Magari iniziando ad abbandonare la logica della contrapposizione manichea e tornare al reciproco riconoscimento nell’ambito delle discussioni politiche. Sarebbe un grande passo avanti. Otre, chiaramente, ad abbandonare il politicamente corretto.

A un certo punto della lunga intervista a Luca Ricolfi, lei chiede se il politicamente corretto possa in qualche misura costituire un limite alla libertà. La risposta è illuminante. 

Ricolfi è stato uno dei critici più lucidi, fin da subito, del politicamente corretto. La sua risposta è in effetti molto efficace: i ceti popolari se ne infischiano del politicamente corretto. Ed è per questo che per riappassionare l’elettorato al voto bisogna lasciarci alle spalle la deriva politicamente corretta.

È un processo reversibile o il politicamente corretto è talmente pervasivo da aver già lasciato cicatrici non più rimarginabili?

Il danno più evidente è l’autocensura a cui stiamo assistendo negli ultimi anni. Pensare di mettere mano a pietre miliari della letteratura solo perché si pensa possano offendere certe sensibilità è una follia totale. Tutto questo è paradossale perché accade nel momento di massima espansione dei social e delle rete su cui si trovano le peggiori nefandezze. I social, però, differentemente da film e libri non interpretano lo spirito del tempo. Qui dibattiamo di politicamente corretto, mentre in Europa è tornata la guerra. Ecco, il grande paradosso.

Perché il politicamente corretto nuoce alla democrazia. La versione di Lenzi

Il giornalista e autore televisivo analizza i “mali” delle democrazie occidentali, chiarendo subito un concetto: “Meloni non è parte del problema, anzi si sta muovendo come una vera leader europea”. Per tentare di invertire la rotta “occorre abbandonare il politicamente corretto: solo così si può sperare che le persone tornino a votare”

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