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Si è avverato quanto previsto da settimane: il primo ministro giapponese Ishiba Shigeru ha annunciato ieri pomeriggio (ora italiana) le dimissioni, aprendo la strada a una corsa lampo alla leadership del Partito Liberal Democratico (Ldp), attraversato da divisioni sempre più profonde. Le tensioni interne e le pressioni esterne hanno travolto il tentativo di Ishiba di mantenere stabilità politica.

La scelta, arrivata a meno di un anno dall’insediamento, anticipa la riunione di oggi — lunedì 8 settembre — in cui i parlamentari del Ldp avrebbero probabilmente imposto un voto di sfiducia per costringerlo a lasciare. Con le dimissioni, Ishiba ha cercato di scongiurare, nelle sue parole, “una frattura irreparabile” nel partito che ha dominato la scena politica per gran parte degli ultimi settant’anni, ma che sotto la sua guida ha visto erodersi consensi e capacità di governo.

Pur restando la principale forza nelle due Camere, i liberal-democratici governano oggi solo grazie all’alleanza con i centristi del Komeito e a intese variabili con piccoli partiti di opposizione.

Il premier resterà in carica fino alla nomina del successore. Su di lui pesavano le pressioni per i risultati deludenti alle elezioni di luglio per la Camera alta, quando l’Ldp ha pagato l’insoddisfazione popolare per l’inflazione e vecchie tensioni tra i notabili della formazione. “Se il Ldp resta immobile, i cittadini ci considereranno un partito senza futuro”, ha avvertito Ishiba. “Le riforme sono indispensabili: spero che la mia decisione sia il primo passo in questa direzione”.

Il premier ha legato la necessità di rinnovamento anche al contesto internazionale, citando la parata militare di Pechino della scorsa settimana come segnale dell’inasprimento delle sfide di sicurezza per Tokyo.

L’annuncio delle dimissioni è arrivato due giorni dopo la conclusione dei negoziati con Washington sui dazi. Ishiba ha rivendicato come un successo l’intesa che ha evitato tariffe del 25% sulle auto giapponesi, limitandole al 15%, in cambio di un piano d’investimenti da 550 miliardi di dollari in progetti negli Stati Uniti, fortemente voluto dal presidente Donald Trump. “Abbiamo raggiunto un passaggio fondamentale”, ha dichiarato.

Nei giorni precedenti, ricevendo a Tokyo il primo ministro indiano Narendra Modi, Ishiba aveva ribadito la centralità del Giappone — in asse con Nuova Delhi — nel promuovere il concetto di “free and open Indo-Pacific”, ereditato dal defunto premier Abe Shinzo. Ma la sua posizione era già fragile dopo la perdita della maggioranza nella Camera alta e la scommessa elettorale fallita dell’autunno scorso. Come molti predecessori, anche Ishiba si ferma a meno di un anno dall’ingresso a palazzo Kantei: oltre venti primi ministri hanno avuto un destino simile dalla creazione della carica nel 1885.

Il sostegno interno si è dissolto nel fine settimana, quando vari alleati hanno fatto sapere di voler cambiare leadership. La decisione finale è maturata dopo un incontro con l’ex premier e suo mentore Suga Yoshihide e con Koizumi Shinjiro, da lui nominato ministro dell’Agricoltura per affrontare l’aumento dei prezzi del riso, questione dal forte impatto pratico e simbolico.

Secondo fonti parlamentari, la corsa alla guida del Ldp vedrà tra i protagonisti Takaichi Sanae, la conservatrice sconfitta di misura da Ishiba nell’ultima competizione interna, e lo stesso Koizumi, ma non si escludono altri candidati “a sorpresa”.

Il Ldp governa quasi ininterrottamente dal 1955, ma la frattura tra le sue anime moderate e conservatrici appare sempre più difficile da ricomporre, mentre il Paese affronta inflazione, declino demografico e nuove pressioni geopolitiche.

Tra i movimenti emergenti spicca il Sanseitō, nato come forza anti-sistema e caratterizzato da posizioni cospirazioniste, xenofobe e spesso filorusse. Il partito attrae giovani elettori diffidenti verso i partiti tradizionali, facendo leva su narrazioni anti-scientifiche e anti-vacciniste, unite a critiche all’ordine economico globale di cui il Giappone fa parte come membro del G7 e alleato dell’Occidente. Una dinamica propagandistica che, in parte, si alimenta anche di spinte esterne.

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