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Ieri Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha incontrato Donald Trump, presidente statunitense, a Washington, nel quadro di un intensificarsi delle relazioni transatlantiche. Le due parti hanno ribadito l’obiettivo di chiudere presto un accordo commerciale tra l’Unione europea e gli Stati Uniti, dopo aver siglato un cessate-il-fuoco sui dazi reciproci. “Ci sarà un accordo, al 100 per cento”, ha assicurato Trump. “Sono qui per contribuire a questo obiettivo”, ha risposto Meloni ai giornalisti.

Mentre i due si parlavano a Washington, a Roma Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia atteso negli Stati Uniti la prossima settimana, osservava che per gli Stati Uniti “il nemico strategico è la Cina, la Ue non è un alleato senza se e senza ma, è un alleato”. Secondo Giorgetti, “è diventato chiaro” che “la preferenza dell’amministrazione Trump per i negoziati bilaterali con i Paesi europei”. Nel corso della presentazione del nuovo settimanale di approfondimento economico Moneta, Giorgetti ha spiegato che “già [Joe] Biden aveva iniziato con un protezionismo camuffato. Trump, invece, è andato dentro di brutto, segnalando la necessità di riscrivere le regole del commercio globale”.

La cornice più ampia di questo riassetto delle alleanze globali è descritta dall’analisi di Craig Singleton, ex diplomatico americano e oggi alla Foundation for Defense of Democracies, sulla “trappola dei dazi” tra Washington e Pechino: Trump considera i dazi non un mero strumento negoziale, ma la strategia in sé per ridisegnare le regole del commercio mondiale e isolare la Cina. In questa logica, le misure protezionistiche diventano un mezzo per “punire” i concorrenti esteri, costringendo le imprese e i governi a rivedere le proprie catene di fornitura e mettendo pressione politica sui leader, sia in Asia che in Europa. Dal canto suo, il leader cinese Xi Jinping smania per non cedere “per non apparire debole”. Ma ogni reazione è immediatamente punita da nuovi rincari americani, lasciando Pechino con sempre meno leve di manovra.

Nei giorni scorsi Unione europea e Stati Uniti hanno deciso uno stop di dazi reciproci dopo quelli lanciati da Trump. Adesso gli Stati Uniti applicheranno solamente una tariffa del 10%, verso tutti gli importatori eccetto la Cina, che a causa della sua ritorsione contro Trump è soggetta a dazi ancora più alti di prima, fino al 125%. Con partner come Giappone, Vietnam e l’Unione europea, Trump impiega le tariffe come “squeeze for concessions”: mantenendo in vigore i dazi e offrendo al contempo la prospettiva di “side deals” per chi accetta di trattare, ben sapendo che la minaccia di un’ulteriore stretta rimane sempre sullo sfondo.

Ma è la Cina l’obiettivo numero uno. Nei giorni scorsi l’amministrazione Trump ha chiesto agli alleati di limitare affari e tecnologie dalla Cina. Una sorta di aut aut ben riassunto da quanto dichiarato da Brendan Carr, presidente della Federal Communications Commissione: “Se siete preoccupati per Starlink, aspettate la versione” cinese, “poi sarete davvero preoccupati”.

(Foto: White House)

La “trappola dei dazi” di Trump a Xi spiegata da Singleton (Fdd)

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