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Stefano Bonaccini, o chi per lui, non potrà sostituirsi al vero dilemma del Pd che va sciolto prima di congressi, primarie, promesse e nuove segreterie: ovvero allearsi con Conte o con Calenda. Così Paolo Franchi, uno dei più autorevoli commentatori politici italiani, editorialista del Corriere della Sera, già direttore del Riformista e scrittore (“Il Pci e l’eredità di Turati”, il suo ultimo lavoro per La nave di Teseo) secondo cui all’orizzonte i dem devono guardarsi dal rischio-Francia. Ovvero, quello schema in cui il Partito Socialista francese è stato “attaccato” da una doppia opa ostile che ha poi spianato la strada all’avvento di Macron.

Bonaccini è l’ultimo treno per il Pd?

Fatto salvo il giudizio personale su Bonaccini, a me resta totalmente oscuro il procedimento con cui il Pd va a questo congresso, non rispetto alle tappe e alle modalità fissate, ma rispetto a quella che è la sostanza delle questioni. Il percorso avrebbe dovuto essere letteralmente opposto: non prima i nomi e poi, con andamento anche parallelo, un eventuale dibattito politico.

Con o senza primarie?

Se c’era una volta in cui le primarie proprio andavano tolte di mezzo era questa: prima andava fatto un congresso con tesi contrapposte e, sulla base di questo, identificare i candidati. Mi riferisco al fatto se esistano le condizioni politiche per stare assieme sotto lo stesso tetto. La candidatura di Bonaccini è sicuramente una candidatura forte e questo mi pare evidente, ciò che manca a monte è il punto di caduta e la strategia.

Si vuole celare il punto?

Credo che tutti se ne rendano tutti conto e credo che nessuno sia così stupido da non vedere il dato della realtà: ma insomma qui c’è un partito che si ritrova in una condizione particolare. Qualcuno ha evocato lo spettro del Partito socialista francese e di come è finito. Non solo un partito che si estingue, ma che si estingue in presenza di una doppia Opa ostile che ha poi spianato la strada all’avvento di Macron per impedire quello di Le Pen. Al Pd accade questo: quanto più si divide tra chi vorrebbe allearsi con Calenda e chi vorrebbe allearsi con con Conte, tanto meno si parla di idee e tesi. Tutto ciò rischierebbe di sgretolarlo.

Si rischia di bruciare l’ennesimo segretario senza sciogliere il nodo identitario del Pd?

Il Pd non è in grado di dire cosa è, al momento, quindi non è in grado di scegliere con chi allearsi: è su questo scenario già desolato che sarebbe da aggiungere una pennellata di nero.

La prima conseguenza sarebbe quella di essere svuotato, non solo elettoralmente, ma anche idealmente da Calenda da un lato e da Conte dall’altro?

Al di là dei singoli, su cui potremmo discutere, ma insomma sono quelli che, senza dimenticare Renzi che è innegabilmente capace, hanno un po’ di iniziativa politica. Si pensi alla Lombardia dove c’è un centro moderato con una storia e una tradizione, che si incrociano con altre storie a cominciare da quella del riformismo milanese. In caso di scontro in questa dimensione, è possibile che poi un pezzo notevole anche dell’elettorato residuo del Pd milanese possa votare per la Moratti e un altro pezzo per Majorino. Ecco che il partito potrebbe essere esposto ad una doppia fuga, se non tripla.

Quindi un partito svuotato di tutto?

Certo, per questo servirebbe che lì ci fosse una sinistra. Non dimentichiamo che è successa una cosa abbastanza clamorosa: non più tardi di sette mesi fa parlavamo della scomparsa dei cinque stelle. Oggi sono quasi alla pari con il Pd grazie a un voto che viene dall’elettorato della sinistra anche se l’Italia resta l’unico paese europeo senza un vero partito di sinistra: c’è in Francia con Melenchon, c’è in Inghilterra con i laburisti che potrebbero vincere domani alle urne, c’è in Germania con la Spd che, seppur con mille problemi, governa. Per cui bisognerebbe giocare a carte scoperte e definirsi, anche se le carte sono molto basse e si rischia di scoprire il due di picche.

A cosa va incontro il Pd adesso?

Il Pd è passato da essere partito solido ai tempi pre-Lingotto ad un partito liquido. E ora rischia di diventare gassoso, quindi di scomparire. Ha ragione D’Alema quando dice che per paradosso la vittoria della Meloni è figlia della caratura novecentesca di Fratelli d’Italia: è il più novecentesco dei partiti in Italia. Anche per compiere una traversata nel deserto occorre ripartire da idee e battaglie valoriali che nessuno si appresta a fare, parlando solo genericamente di tornare nei territori e fare politica dal basso. Ma che significa in concreto?

Per cui la soluzione?

Un congresso in questo momento dovrebbe essere un congresso doloroso, con prese di posizioni forti e soprattutto che abbia come punto di partenza un momento altrettanto forte: il padre di quella linea dovrebbe raccontare, dal Lingotto a oggi, le storie dei gruppi dirigenti e fare ammenda. Perché Veltroni e Bettini non ce la raccontano quella decisione? I congressi non sono agorà ma sono momenti, anche duri, in cui si confrontano visioni e idee. Il Pd dica che partito è e vuol essere e se la matrice socialista sarà o meno presente.

Al Pd serve un congresso drammatico. L'analisi di Franchi

“Una doppia opa ostile sul Nazareno, come accaduto in Francia, rischierebbe di sgretolarlo. Il Pd è passato da essere partito solido ai tempi pre-Lingotto ad un partito liquido. E ora rischia di diventare gassoso, quindi di scomparire. Ha ragione D’Alema: FdI ha vinto perché il partito più novecentesco d’Italia”. Conversazione con l’editorialista del Corriere della Sera

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