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“La guerra c’è già, siete voi che non ve ne siete accorti”.

“Athena, presentato in Concorso a Venezia 79, ci avverte subito. Ambientato in una banlieue parigina di fantasia assediata dalla polizia, la storia irrompe con la potenza della tragedia greca e l’intensità dell’epica omerica. Il regista, Romain Gavras, ripassa dalle origini per tendere il discorso fino a far emergere le contraddizioni irriducibili della nostra epoca.

Protagonisti del film sono tre fratelli Abdel, Karim e Moktar (le rivelazioni Dali Benssalah, Sami Slimane, Ouassini Embarek), devastati dalla morte del loro fratello minore, avvenuta (forse) dopo uno scontro con la polizia. Come ne I Fratelli Karamazov c’è anche un quarto fratello, “rimosso”, una figura ascetica e fuori di testa, fondamentalista islamico reduce dalla Siria.

Non è però la morte del fratello più piccolo a innescare la bomba della rabbia sociale. Quanto il rifiuto delle Autorità di prestare ascolto al bisogno di verità dei fratelli. All’inizio l’unica richiesta di Karim, il fratello che si fa leader dello scontro, è quella di avere i nomi dei responsabili. Non punta alla violenza senza limiti di chi deve solo distruggere. Ma al telefono il capo della polizia gli risponde come se la domanda fosse irricevibile e non possa essere neppure riconosciuta.

Questo, dunque, il cavallo di Troia che scatena quanto da tempo covava: il caos nel bel mezzo di una società e di uno Stato fragili, impauriti e divisi, in cui il posto che dovrebbe essere delle autorità è vuoto. C’è ovviamente una lettura politica: il non riconoscimento della responsabilità collettiva da parte delle Autorità scatena non solo la battaglia, ma lo sfaldamento della responsabilità individuale sia tra i rivoltosi di Athena sia tra i poliziotti: uno stato d’emergenza senza più regole se non l’istinto, la sopravvivenza, e soprattutto la vendetta. Da qui sgorgano gli “insulti” alla dignità in questa guerra civile fratricida.

Per il primo quarto d’ora Gavras non stacca mai la macchina da presa, catturando lo sguardo in un piano sequenza che, senza soluzione di continuità, passa dall’ultimo tentativo di trattativa, davanti a un commissariato di polizia, alla periferia in piena rivolta, in un inferno di sudore e fumogeni.

La rappresentazione è sovraccarica, ma con un fine preciso. Lo spettacolo serve a catturare l’ascolto, affinché possiamo riconoscere la verità denegata. Gavras ci immerge in un action di guerra che ricorda “Il gladiatore”, “Braveheart” e “Il signore degli anelli”. Rivive la plasticità della tragedia greca e il suo senso profondo.

Athena è spinto a un movimento continuo, mentre i protagonisti sono assoggettati alla nemesi dei rivoluzionari. Non a caso Gavras cita all’inizio il quadro La Libertà che Guida il Popolo di Eugene Delacroix trasfigurandolo come fosse un video clip di Jay-Z.

La rocca di cemento di questa umanità respinta crollerà perché questo film non offre alcuna redenzione. Ma se non c’è spazio di salvezza, la scena finale rilancia sul piano della verità e del riconoscimento. C’è infatti un giovane poliziotto, che tenuto in ostaggio da Abdel ha potuto immergersi nella vita dei rivoltosi. Per tutto il tempo questo ragazzo spaventato ha assistito alla tragedia interna e a quella esterna dei rivoltosi. Abdel non lo uccide, subito prima di lasciarsi morire tra le fiamme.

Dopo la resa dei ribelli il giovane poliziotto è insieme ai ribelli di Athena, nudo e fatto inginocchiare come gli altri rivoltosi, perché la polizia non l’ha riconosciuto. Lo vediamo scegliere di inginocchiarsi, le mani dietro la nuca.

 

 

 

 

Athena, a Venezia un film dove la verità fa ancora la differenza

Ambientato in una banlieue parigina di fantasia assediata dalla polizia, la storia irrompe con la potenza della tragedia greca e l’intensità dell’epica omerica. Il regista, Romain Gavras, ripassa dalle origini per tendere il discorso fino a far emergere le contraddizioni irriducibili della nostra epoca. Il commento di Chiara Buoncristiani

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