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La lotta alla corruzione è una cosa seria. Non solo perché evita deviazioni significative di decisioni pubbliche che determinano un costo per lo Stato, ma soprattutto perché impegna tre milioni e mezzo di persone che lavorano nel settore pubblico a vario titolo e che meritano rispetto.

La Pubblica amministrazione non è un’organizzazione criminale, nonostante il legislatore l’abbia equiparata all’associazione di stampo mafioso, quando nel 2019 ha introdotto la legge n. 3 “spazza-corrotti” in cui si è istituita la figura dell’agente sotto copertura per investigare sui reati di corruzione. In quali altri reati è previsto questo strumento inquirente?

La risposta è semplice: traffico di stupefacenti e malavita organizzata. Il pregiudizio è evidente e si è passati da una presunzione di buona fede ed imparzialità ad un sistema in cui il funzionario integro deve dimostrare la propria correttezza. Senza peraltro che siano stati diffusi dati sul ricorso a tale agente.

Sono dieci anni che frequento piccoli comuni, regioni, società partecipate, aziende ospedaliere, ministeri, fondazioni per formare funzionari e dirigenti pubblici all’integrità. Dieci anni di legge Severino, un orrendo articolato (che neppure può definirsi tale perché fatto di un solo articolo e una novantina di commi), che nessuno ha celebrato con festante saluto nel novembre scorso, perché a distanza di due lustri non si hanno dati su quanto si sia ridotta effettivamente la corruzione nel nostro Paese.

Dice bene il ministro Nordio: ci sono troppe norme sull’anticorruzione che di fatto favoriscono la corruzione perché è nella complessità e nell’incertezza del diritto che il corrotto ha vita facile. Eppure nonostante sia stata costituita un’autorità indipendente sembra ancora, si tratta di percezione, che la battaglia non sia neppure iniziata. L’Anac è stata costituita dalle spoglie di due altre autorità (quella sulla vigilanza dei contratti pubblici e quella per la valutazione del merito e l’integrità). Probabilmente si è trattato di un peccato originale che ha caricato di troppe competenze un’organizzazione che non sembra guidare con prospettiva il settore degli appalti e sembra rimestare lo stesso brodo da anni per quanto riguarda la prevenzione della corruzione e la trasparenza.

In questi dieci anni ho spesso chiuso i miei corsi con questa riflessione: “L’effettivo miglioramento dell’integrità, della trasparenza e dell’efficienza dell’azione pubblica avrebbe richiesto sia un cambiamento culturale – orientato al risultato piuttosto che al mero adempimento – sia un impegno organizzativo, che tuttavia ancora stentano ad affermarsi in un contesto nel quale, peraltro, i vertici politici manifestano una scarsa propensione a definire obiettivi chiari, misurabili e rendicontabili ai quali assegnare le relative risorse e sui quali possa misurarsi il merito dell’amministrazione ed essere esercitato il controllo sociale”.

In genere i partecipanti ai seminari convengono che si tratti di una affermazione estremamente attuale. Eppure è contenuta nella relazione annuale del 2013 dell’Autorità Nazionale Anticorruzione dell’allora presidente Raffaele Cantone (un magistrato messo al vertice dell’amministrazione pubblica). Sono passati dieci anni in cui l’opinione sullo stato dell’arte nella lotta alla corruzione si è mantenuta immutata. Dieci anni persi per contrastare veramente la corruzione con delle ricette che producano risultati. E ce ne sono di ricette!

Se andiamo sul sito web dell’Anac, un sito tutt’altro che accessibile per la ricerca di dati e documenti nonostante le linee guida di Agid del giugno scorso, troviamo la notizia del differimento della relazione annuale dei responsabili della prevenzione della corruzione e della trasparenza al 15 gennaio. Un differimento al quale assistiamo negli ultimi anni (da dicembre, a gennaio passando per marzo) determinato dal covid e dalle modifiche legislative. Un differimento però che la dice lunga sulla rilevanza del monitoraggio effettivo che si realizza nelle organizzazioni tenute ad applicare la legge Severino. D’altronde, non possiamo che osservare con mestizia, che la relazione annuale dei Rpct sia soltanto un “mero adempimento” che si aggiunge ai tanti, troppi. Incombenze che invece di contrastare la corruzione rendono faticoso lavorare nel settore pubblico senza che vi sia alcun riconoscimento per i milioni di funzionari e dirigenti onesti, competenti e responsabili.

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