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“Tutte le iniziative della Santa Sede e di papa Francesco che possono portare alla pace in Europa sono percepite con grande rispetto e, naturalmente, possono essere richieste se si presentano i presupposti appropriati”. Così ha dichiarato Alexei Paramonov, direttore del primo dipartimento europeo del ministero degli Esteri russo.

L’inattesa dichiarazione ha riacceso i riflettori su papa Francesco e sulla diplomazia vaticana riguardo alla guerra russo-ucraina. L’“apertura” russa è stata in realtà molto cauta e appare sottoposta a condizioni che potrebbero non realizzarsi. Ma la dichiarazione di Paramonov indica quantomeno che la Russia non esclude un ruolo della Santa Sede in un dialogo diplomatico che prima o poi dovrà ripartire. Non era scontato, tanto più se si considera che un simile pronunciamento è stato presumibilmente autorizzato ad altissimo livello.

Nei suoi più di cinquanta interventi pubblici sulla guerra tra Russia e Ucraina, cui si sommano quelli privati o in circoli ristretti, papa Francesco non è stato sempre tenere con la Russia. Da ultimo, il 14 giugno, ha parlato di “diretto intervento di una ‘superpotenza’, che intende imporre la sua volontà contro il principio dell’autodeterminazione dei popoli”. Ciononostante, c’è chi accusa Francesco di essere filo-Putin”. “No, non lo sono – ha spiegato lui stesso ai direttori delle riviste dei gesuiti – Sarebbe semplicistico ed errato affermare una cosa del genere. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi”.

Questa complessità si riflette nei suoi molti interventi che, presi singolarmente, potrebbero apparire ondivaghi se non contraddittori. Alcuni di questi hanno suscitato reazioni molto dure da parte delle autorità ucraine, della Chiesa greco-cattolica ucraina e persino del nunzio in Ucraina. Sono reazioni dettate dalla logica della guerra che riconosce come amici solo coloro che sostengono totalmente le posizioni della propria parte. Ma Francesco non segue la logica della guerra. Ai direttori delle riviste dei gesuiti ha raccomandato: “Vorrei che le vostre riviste facessero capire il dramma umano della guerra. Va benissimo fare un calcolo geopolitico, studiare a fondo le cose. Lo dovete fare, perché è vostro compito. Però cercate pure di trasmettere il dramma umano della guerra”.

Il filo conduttore dell’attenzione al dramma umano ha unito tutti i diversi interventi di Francesco, insofferente verso l’indifferenza per il fattore uomo che si insinua continuamente nelle considerazioni politiche, nelle valutazioni militari, nei calcoli geopolitici.

Proprio tale attenzione spinge il Papa a tenere aperte tutte le porte che possano portare alla pace. Si spiega così ad esempio perché, dopo aver rimandato l’incontro con Kirill per l’aperto sostegno di quest’ultimo all’aggressione russa, Francesco speri di incontrare il patriarca russo in settembre in Kazakistan. Esiste, in questo senso, una geopolitica di Papa Francesco e della S. Sede, come conferma indirettamente proprio la dichiarazione di Paramonov. L’urlo di protesta e di preghiera che Francesco ha levato ogni giorno contro la guerra può apparire superfluo a chi segue unicamente la logica delle armi, ma persino nella Mosca di Putin sanno che le armi non sono tutto. In questi giorni i governi occidentali parlano ormai apertamente di supremazia militare russa nel Donbass che potrebbe aver definitivamente ragione delle forze ucraine nel giro di poche settimane.

Se è così, potrebbe poi seguire il tempo della diplomazia e delle trattative, in cui si giocherà un’altra partita difficile e per certi versi ancora più importante, anche per la Russia. Ci vorranno soggetti in grado di mediare e non se ne vedono molti in giro. L’urlo di Francesco lo rende credibile come uomo di pace: solo chi ha davvero a cuore il dramma umano della guerra si adopererà, senza interessi di parte, per far uscire gli uni e gli altri dall’abisso e per ricucire dolorosissime lacerazioni.

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