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L’arte della diplomazia non consiste solo nel trovare soluzioni tecniche ai conflitti, ma nel costruire narrazioni che permettano a ogni leader di tornare a casa con qualcosa da celebrare davanti ai propri elettori. Questa dinamica, spesso sottovalutata dall’opinione pubblica, è in realtà il motore principale di ogni accordo duraturo.

Trump può già intravedere il suo premio: mantenere la promessa elettorale di fermare una guerra che considera secondaria rispetto alla sfida con la Cina. L’annuncio del contratto per 90 miliardi di dollari in armi americane all’Ucraina e i futuri accordi commerciali sulle terre rare gli consentiranno di presentarsi come il presidente che ha trasformato un conflitto costoso in un’opportunità economica per l’America.

La reintegrazione russa

Per Putin, la posta in gioco è ancora più alta. Il summit di Anchorage prima e gli sviluppi di Washington poi gli hanno già garantito il ritorno sulla scena internazionale dopo anni di isolamento. La possibilità di rimuovere le sanzioni e mantenere gran parte dei territori conquistati può essere facilmente venduta come una vittoria completa in un sistema dove controllo dell’informazione e propaganda permettono di plasmare la percezione della realtà.

La Russia, nonostante i costi umani ed economici enormi – il Center for strategic and international studies (Csis) stima quasi un milione di vittime totali – può presentare il conflitto come una missione compiuta: impedire l’espansione Nato e riaffermare la propria sfera d’influenza.

L’Europa al tavolo dei grandi

I leader europei stanno ottenendo qualcosa di altrettanto prezioso: il riconoscimento del loro ruolo essenziale. Dopo essere stati spesso marginalizzati nelle grandi decisioni geopolitiche, l’Europa si ritrova protagonista attiva nella risoluzione di una crisi che si svolge sui suoi confini. Ma ogni leader porta a casa vittorie specifiche che rafforzano la propria posizione politica.

Giorgia Meloni emerge come la vera vincitrice diplomatica europea. Gli elogi di Trump (“una grande leader e fonte d’ispirazione”) la legittimano come interlocutore privilegiato tra Europa e Stati Uniti. La sua proposta di un meccanismo simile all’articolo 5 Nato per l’Ucraina diventa parte dell’architettura di sicurezza finale, permettendole di rivendicare un contributo concreto italiano alla pace. La sua strategia di non chiedere il cessate il fuoco come precondizione, a differenza di Macron e Merz, si rivela vincente: appare pragmatica e allineata con Trump, consolidando il suo ruolo di mediatrice affidabile.

Emmanuel Macron ottiene il riconoscimento del protagonismo che ha sempre inseguito sulla scena europea e internazionale, particolarmente prezioso in un momento di difficoltà politiche interne. La sua co-leadership della coalizione dei 30 paesi volenterosi insieme a Starmer per le garanzie di sicurezza all’Ucraina gli permette di presentarsi come l’architetto della risposta europea, offrendo una narrazione di successo diplomatico che può distrarre dalle tensioni domestiche. Anche se la sua richiesta di un “quadrilaterale” invece del trilaterale non viene accolta, riesce comunque a posizionarsi come uno degli attori centrali nel processo di pace, rafforzando l’immagine della Francia nel contesto internazionale. 

Keir Starmer trasforma una possibile debolezza in forza. Il nuovo premier britannico, ancora in fase di consolidamento, si ritrova co-leader della coalizione internazionale per la sicurezza ucraina. Il coinvolgimento britannico nell’addestramento militare europeo dell’Ucraina offre al Regno Unito post-Brexit un ruolo centrale nella sicurezza continentale, dimostrando che la “Global Britain” non è solo uno slogan ma una realtà operativa.

Friedrich Merz, il cancelliere tedesco, naviga tra le pressioni interne e internazionali ottenendo il necessario equilibrio politico. La sua insistenza sul cessate il fuoco come precondizione incontra le aspettative dell’opinione pubblica tedesca, tradizionalmente pacifista, mentre la disponibilità a discutere mandati del Bundestag per la partecipazione nelle garanzie di sicurezza dimostra che la Germania è pronta ad assumersi responsabilità militari concrete. Questo gli permette di presentarsi come leader responsabile che bilancia principi e pragmatismo.

Insieme, questi leader riescono nell’impresa di trasformare l’Europa da oggetto a soggetto della diplomazia globale, ognuno ritagliandosi un ruolo specifico nell’architettura di sicurezza post-conflitto.

L’Ucraina armata: il porcospino d’acciaio

Per Zelensky, la sfida era la più complessa: come accettare compromessi territoriali senza apparire sconfitto? La soluzione sembra emergere nel concetto di “porcospino d’acciaio” coniato da Ursula von der Leyen: un’Ucraina che, pur cedendo alcuni territori, diventa inattaccabile grazie a garanzie di sicurezza occidentali, addestramento europeo e armamenti americani di ultima generazione.

La presidente della Commissione europea può così rivendicare di aver fornito la cornice concettuale vincente per la sicurezza post-conflitto, mentre Zelensky ottiene una narrazione che trasforma cessioni territoriali in conquiste strategiche. La presenza di intelligence americana per monitorare i confini e il meccanismo automatico di risposta dei “paesi volenterosi” in caso di nuove aggressioni trasformano l’Ucraina da vittima a partner strategico protetto dall’Occidente. Significativamente, malgrado le truppe europee permanenti richieste da Macron e Starmer non ci saranno per volontà russa, con un’adeguata architettura di intelligence americana queste non serviranno stabilmente ma potranno essere dispiegate rapidamente in caso di crisi per esercitare la necessaria deterrenza.

L’alchimia del compromesso

Il segreto di questa possibile intesa sta nell’equilibrio tra concessioni concrete e vittorie simboliche. Putin ottiene territori ma deve accettare un’Ucraina militarmente forte e occidentalmente integrata. Trump ferma la guerra ma deve garantire impegni di sicurezza a lungo termine. L’Europa guadagna protagonismo ma deve sostenere costi significativi. L’Ucraina cede territorio ma guadagna sicurezza permanente.

I rischi del successo

Naturalmente, l’implementazione di questa formula non sarà semplice. Il diavolo si nasconderà nei dettagli. La capacità di mantenere l’equilibrio tra le diverse esigenze mentre si traducono gli accordi di principio in politiche concrete sarà la vera prova del fuoco per tutti i leader coinvolti.

Ma forse, per la prima volta da febbraio 2022, tutti gli attori principali hanno davanti a sé un percorso che non li costringe a scegliere tra vittoria totale e sconfitta umiliante. In diplomazia, come in cucina, il segreto sta nel dosare gli ingredienti nella misura giusta: abbastanza per soddisfare tutti, non troppo per rovinare il piatto finale.

 

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Di Ivan Caruso

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