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Giovedì mattina le consegne di Gazprom all’Italia sono aumentate da 21 a 36 milioni di metri cubi al giorno, un aumento del 70%. Difficile non collegare l’avvenimento alla giornata di mercoledì, che ha segnato a tutti gli effetti il crollo del governo di unità nazionale guidato dall’euro-atlantista Mario Draghi. Il quale, nel suo primo discorso al Senato, ha fatto riferimento esplicito alle interferenze russe e alla necessità di combatterle.

Agli osservatori non è sfuggito che le forze politiche responsabili per la crisi – aperta dal Movimento Cinque Stelle guidato da Giuseppe Conte, chiusa dalla Lega di Matteo Salvini in tandem con Forza Italia di Silvio Berlusconi – siano state e siano tuttora, a vario titolo, le più filorusse dell’arco parlamentare. I gialloverdi in particolare si sono distinti negli ultimi mesi per l’opposizione all’invio di armi all’Ucraina e per le richieste di “pace” in salsa russa.

Anche se il contatto tra queste forze e Vladimir Putin fosse interrotto, l’utilizzo politico che quest’ultimo sta facendo delle forniture di gas è evidente da mesi. Ed è stato riconfermato stamattina, con la ripresa parziale dei flussi attraverso il gasdotto Nord Stream 1, dopo una saga durata settimane in cui il Cremlino si è dedicato ad alimentare l’incertezza (con la questione della turbina e l’invocazione di cause di forza maggiore) per tenere l’Ue sulle spine e massimizzare i profitti al contempo.

Va sottolineato che le forniture russe all’Italia non passano da quel gasdotto, né dalla Germania: l’aumento dei flussi verso l’Italia è scorrelato dalla saga Nord Stream 1. Dunque, se non altro, il fatto rimarca la soddisfazione di Mosca per quanto avvenuto ieri a Roma. Sul versante europeo si segnala la mancanza di un piano per il tetto ai prezzi per contenere il caro-energia e limitare i profitti di Putin. Una battaglia targata Draghi e osteggiata dal cancelliere tedesco Olaf Scholz, che di fronte alla forte dipendenza dal gas russo e dalla prospettiva di una recessione mantiene una linea attendista ai limiti dell’appeasement.

Il profilo di Berlino si intravvede anche dietro al piano d’emergenza per la sicurezza energetica, presentato ieri dalla Commissione di Ursula von der Leyen, che prevede un taglio dei consumi del 15% per tutti gli Stati membri – inizialmente volontario, possibilmente obbligatorio – e un richiamo alla solidarietà energetica. Tradotto: i Paesi dovrebbero condividere le risorse. E la Germania, che in Europa è la più esposta ai capricci di Gazprom (dal momento che l’Italia, l’altro grande Paese europeo basato sul gas, può importare da altrove e sotto Draghi ha diversificato le fonti) è destinata a diventare la maggiore beneficiaria.

Non è un caso che ricalchi esattamente le esigenze tedesche; come sottolineato ieri a Bruxelles, il contraccolpo economico di un’interruzione dei flussi si farebbe sentire in tutte le economie europee. Inoltre, aggiungono i maliziosi, l’approccio consente alla Germania di continuare sui suoi binari. Comunque c’è chi non ci sta: ieri il governo spagnolo di Pedro Sanchez ha definito la riduzione del consumo ingiusta e inefficace, promettendo che si opporrà. Non è il solo: David Carretta del Foglio riferisce che anche Italia e Polonia hanno espresso critiche dietro le quinte.

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