Skip to main content

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha detto che Donald Trump ha lasciato l’incontro del G7 in Canada per tornare a Washington e lavorare sul cessate il fuoco tra Israele e Iran. Ma Trump lo ha smentito, evidentemente seccato, tramite il suo social network Truth: “Sbagliato! Non ha idea del perché ora sto andando a Washington, ma certamente non ha nulla a che fare con un cessate il fuoco. Molto più grande di quello. Che sia di proposito o meno, Emmanuel sbaglia sempre. Stay tuned!”.

Che il G7 sia sostanzialmente unito sulla necessità di una de-escalation è un elemento certo. Su come questa sarà raggiunta è invece un punto interrogativo. La dichiarazione di Trump — che nella mattinata americana ha avuto una riunione nella Situation Room — fa trasparire una differenza di incedere tra il suo modo di vedere le cose e quello degli alleati principali che erano seduti al tavolo canadese del Gruppo. Secondo indiscrezioni di stampa, l’amministrazione statunitense starebbe lavorando per forzare l’Iran a siglare un’intesa sul controllo del programma nucleare – sarebbe questo il “molto più grande” di cui parla Trump. La forzatura avviene attraverso una narrazione chiara e diretta: accettate un accordo prima che sia troppo tardi.

La minaccia è strutturata su diversi livelli. C’è la comunicazione pubblica della Casa Bianca che ricorda in ogni occasione possibile che Trump non ha mai vacillato nella sua posizione secondo cui non si può permettere all’Iran di possedere un’arma nucleare, una promessa che ha ripetuto più volte, sia durante la campagna elettorale che durante la presidenza — ed è questo un modo per ricordare che la partecipazione statunitense a eventuali attacchi contro gli impianti nucleari iraniani si baserebbe su qualcosa di consolidato nella visione politica di Trump.

Poi ci sono i movimenti militari. Trentadue tanker hanno attraversato l’Atlantico per spostarsi nell’area di responsabilità del Comando Centrale — ossia in Medio Oriente — dove potrebbero servire sia ad assistere le operazioni israeliane, sia a sostenere eventuali interventi americani. Nel frattempo, la USS Nimitz spenderà il suo ultimo dispiegamento operativo proprio in quella stessa area, e questo significa che il Pentagono torna con l’assetto a due gruppi da battaglia, visto che in zona c’è anche la USS Vinson — e solitamente questi doppi dispiegamenti sono usati in caso di coinvolgimento operativo.

Poi c’è un focus specifico su Fordow, il più importante dei siti nucleari iraniani al momento: Trump vede le enormi bombe bunker buster necessari per distruggere l’impianto di arricchimento sotterraneo di Fordow, che gli Stati Uniti hanno e Israele no, come un punto chiave di leva per convincere l’Iran a raggiungere un accordo, ha detto un alto funzionario statunitense ad Axios. Di più ancora: secondo la Reuters, Teheran avrebbe cercato Qatar, Arabia Saudita e Oman per chiedere a Trump di intercedere su Israele affinché blocchi gli attacchi — sostenendo che davanti a uno stop dei bombardamenti israeliano sarebbero subito sospesi anche quelli iraniani.

Le leve sono diverse insomma. Sul tavolo ci sarebbe anche un possibile incontro tra il super inviato della Casa Bianca, il mediatore-in-capo Steve Witkoff e il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi. Trump lo considera come l’ultima offerta, l’ultima occasione per Teheran — dopodiché le minacce diventeranno reali. Per esempio, se Trump vuole mantenere fede al non permettere all’Iran di avere una bomba atomica, “in a way or another”, allora colpire pesantemente Fordow è necessario e per farlo servono le “sue” bunker buster.

Il governo Netanyahu gliele sta chiedendo quasi da subito, ma – come con l’attacco diretto contro la Guida Suprema Ali Khamenei – gli Usa frenano. Potrebbero però essere gli aerei statunitensi a sganciarle, se la Repubblica islamica non dovesse accettare l’ultima offerta di mediazione, che resta l’opzione preferibile per il presidente. Lo ha ricordato direttamente il capo del Pentagono, Pete Hegseth: “Il presidente Trump si augura che ci sia la pace”. Anche gli alleati del G7, l’Ue, la regione del Golfo vogliono la pace – e probabilmente anche Russia e Cina. L’Iran è d’accordo? E Israele?

Qualcosa si muove sul tavolo diplomatico tra Iran e Israele

“Il presidente Trump si augura che ci sia la pace”, dice il capo del Pentagono. Dalla Casa Bianca potrebbe partire un’ultima, irrinunciabile offerta per Teheran: un accordo per la gestione del programma nucleare. Se l’Iran accetta, gli Usa non effettueranno attacchi. Ma Israele è d’accordo?

Il Pd contro le armi segue l'estremismo di Conte, serve un terzo polo autonomo. Parla Marcucci

Il campo largo va in piazza per la seconda volta contro il riarmo dell’Europa. Sembra un’impostazione ideologica, totalmente sballata. Spiace che il Pd, ormai sempre più solo il partito di Schlein, in questo modo vada persino contro il Partito socialista europeo. Ora è il momento di un terzo polo autonomo. Fra il partito Liberaldemocratico e Azione c’è un buon dialogo, Italia Viva ha fatto altre scelte. Colloquio con Andrea Marcucci (Libdem)

Il gas di Putin divide ancora l’Europa. Ecco cosa è successo

Ungheria e Slovacchia hanno respinto la proposta Ue di tagliare i legami energetici con la Russia, invocando sicurezza e sovranità nazionale. L’Austria, con toni più cauti, non chiude la porta a future importazioni, sostenendo che ogni decisione definitiva andrebbe rinviata al dopoguerra

Tra bollette e plauso al nucleare. La relazione dell'Arera che fa sponda con il governo

In Italia l’energia costa troppo per colpa di oneri di sistema che gonfiano il prezzo finale. Più un gioco di prestigio burocratico che altro. Ecco cosa chiede l’Autorità per l’energia, che nel frattempo plaude alla spinta verso il nucleare

Israele-Iran, quale spazio per la mediazione italiana? Scrive l’amb. Castellaneta

Israele ha sferrato un’offensiva mirata contro l’Iran, andando oltre una semplice azione preventiva. L’obiettivo sembra essere un cambio di regime a Teheran, mentre gli ayatollah cercano ad ogni costo di garantire la propria sopravvivenza. L’Italia potrebbe giocare un ruolo chiave come mediatrice per evitare un conflitto irreversibile. Il commento dell’ambasciatore Giovanni Castellaneta

“Shock Cina” al G7. Von der Leyen sfida Pechino sulle terre rare

La presidente della Commissione europea ha adottato un linguaggio molto duro contro la Cina, passando dal tradizionale “de‑risking” a un vero e proprio ammonimento sulle dipendenze strategiche legate alle terre rare. Serve un’azione coordinata su catene di approvvigionamento, semiconduttori e investimenti esteri, ha detto

Per le monarchie del Golfo Teheran è il nemico da contenere, non da abbattere. Scrive Arditti

Le monarchie del Golfo non vogliono un Iran distrutto, ma un Iran eternamente incompiuto. Non vogliono rovesciare la Repubblica islamica, ma impedirle di crescere. È la politica della sabbia nel motore: si soffia sul fuoco solo quanto basta per tenerlo basso, senza mai spegnerlo. Perché in Medio Oriente — e soprattutto nel Golfo — il vero potere non sta nella vittoria, ma nel controllo del caos

Due programmi, un solo contractor? Boeing punta al monopolio della sesta generazione Usa

A Parigi Boeing ribadisce la propria ambizione nel segmento dei caccia di sesta generazione, puntando sia sul programma Ngad con l’F-47 sia sulla componente navale con l’F/A-XX. Ma sul secondo progetto, ancora in attesa di assegnazione ufficiale, pesano le incertezze del bilancio della Difesa e le priorità della US Navy

A Taipei il governo cerca l'opposizione contro le minacce ibride

Il presidente taiwanese Lai Ching‑te ha convocato un briefing sulla sicurezza nazionale a porte chiuse, invitando per la prima volta i vertici di Difesa, Esteri e intelligence a relazionare i leader dell’opposizione. In agenda quattro rapporti su espansione militare cinese, strategie diplomatiche, relazioni sullo Stretto e minacce di guerra ibrida. Ma Tpp e Kmt si tirano indietro, per ora

Disgelo di Pechino verso Londra. Via le sanzioni ai parlamentari?

Il governo cinese sta valutando di revocare le restrizioni imposte nel 2021 a nove cittadini britannici, tra cui cinque ex deputati conservatori e due pari, responsabili di aver denunciato le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang. La decisione arriva in un contesto di intensi scambi diplomatici e commerciali. Sullo sfondo resta aperta la partita della sede diplomatica a Tower Hill

×

Iscriviti alla newsletter