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È nota la pessima figura fatta dall’Italia lo scorso giovedì a Bruxelles in occasione del voto sull’Ucraina. Come l’Ungheria di Orban, gli europarlamentari di tutti i partiti che a Roma rappresentano la maggioranza di governo hanno votato contro l’articolo che autorizzava l’Ucraina ad utilizzare le armi occidentali in territorio russo (unica, lodevole, eccezione, il forzista Massimiliano Salini) e al momento del voto finale la risoluzione è stata approvata solo da Fratelli d’Italia e da Forza Italia. Non dalla Lega. È vero che la risoluzione non era vincolante, ma non c’è dubbio che l’Italia abbia dato prova di scarsa affidabilità agli occhi dei partner europei e dei membri dell’Alleanza atlantica.

In un contesto politico diverso, quel voto potrebbe avere ripercussioni e potrebbe addirittura mettere in discussione la tenuta del governo. Ma il contesto gioca indiscutibilmente a favore di Giorgia Meloni. Finché l’unica alternativa a questo titubante e diviso centrodestra sarà il cosiddetto campo largo, la presidente del Consiglio potrà dormire sonni tranquilli.

Sull’Ucraina, infatti, la divaricazione a sinistra è ancor più consistente di quanto non lo sia a destra. Partecipando alla marcia per la pace Perugia-Assisi, il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha fatto di tutto per allargare la faglia che lo divide dal Pd di Elly Schlein. E lo ha fatto sapendo che il giorno prima a Bruxelles alcuni europarlamentari grillini hanno depositato due emendamenti per chiedere la sospensione tout court dell’invio di armi al popolo ucraino e per, tesi che più putiniana non potrebbe essere, adombrare presunti collegamenti tra le forze armate ucraine e i movimenti neonazisti europei.

Un eventuale governo Schlein-Conte, dunque, non reggerebbe alla prova della politica estera e di difesa. Anche perché, a traballare è lo stesso Partito democratico, i cui parlamentari europei in occasione del voto sulla risoluzione pro Ucraina a Bruxelles sono riusciti a dividersi in quattro posizioni diverse: c’è chi ha votato a favore, chi ha votato contro, chi si è astenuto, chi ha preferito non partecipare al voto. Se a tutto ciò aggiungiamo il fatto che nel cosiddetto campo largo milita anche l’Alleanza verdi sinistra di Fratoianni e Bonelli, inopinatamente attestata su posizioni analoghe a quelle del Movimento 5 Stelle, comprendiamo le ragioni per cui agli occhi delle istituzioni europee e della Nato il governo Meloni e l’attuale centrodestra rappresentino senz’altro il minore dei mali possibili.

Ucraina, l’inaffidabilità del campo largo come puntello ideale di un governo titubante

In un contesto politico diverso, quel voto sull’utilizzo delle armi occidentali in territorio russo potrebbe avere ripercussioni e potrebbe addirittura mettere in discussione la tenuta del governo. Ma il contesto gioca indiscutibilmente a favore di Giorgia Meloni. Finché l’unica alternativa a questo diviso centrodestra sarà il cosiddetto campo largo, la presidente del Consiglio potrà dormire sonni tranquilli. Il corsivo di Andrea Cangini

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