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Consultazioni double face. L’andamento lento e protocollare dei presidenti delle Camere e delle delegazioni dei partiti che si alternano al Quirinale, non attenua le fibrillazioni della maggioranza e delle opposizioni.

Nelle dichiarazioni del leader di Azione Carlo Calenda, del Segretario del Pd Enrico Letta e del Presidente di 5 Stelle Giuseppe Conte, oltre alle preoccupazioni per il Paese e alle denunce per quello che viene definito come il rischio dell’isolamento internazionale dell’Italia, traspare anche l’incomunicabilità e la crescente conflittualità che contrappone in particolare Azione con dem e 5 Stelle.

Più complessa e delicata la situazione nel centrodestra dove è in corso una sorta di marcamento all’ “ottobre Silvio” come parafrasando il film “Caccia ad ottobre rosso” viene da più parti definito Berlusconi. L’alternanza di smentite e precisazioni alle dichiarazioni a ruota libera del Cavaliere, sui rapporti con Putin, i giudizi tranchant sul presidente ucraino Zelensky e sulla ostinata rivendicazione del ministero della Giustizia, stanno tormentando di perplessità la vigilia del colloquio di domattina della delegazione del centrodestra con il Presidente Mattarella.

Familiari, amici di una vita come Fedele Confalonieri e Gianni Letta e i vertici filo governativi di Forza Italia sono mobilitati affinché le eventuali esternazioni del Berlusconi-pensiero davanti al Capo dello Stato e al cospetto di Giorgia Meloni e Matteo Salvini siano convergenti e sovrapponibili con quelle degli alleati e offrano assolute garanzie filo atlantiche in tema di politica estera. Le ultime interviste e la babele di smentite e precisazioni escluderebbero altre intemerate. Ma l’ex quattro volte presidente del Consiglio è famoso per l’irrefrenabile incontinenza verbale. In caso di ennesimo patatrac della serie “october Silvio”, anche se i 61 metri sul livello del mare del Colle dovessero assumere l’aspetto nebuloso delle cime tempestose dell’Himalaya, la premier in pectore Giorgia Meloni è in grado di disporre di una maggioranza parlamentare autonoma rispetto a un eventuale, e comunque al momento senza alcun presupposto, disimpegno di Forza Italia tendenza Berlusconi.

Disimpegno dalla maggioranza di governo che provocherebbe la formalizzazione della latente scissione sotterranea che sarebbe già in atto fra gli azzurri. Per focalizzare la complessità degli scenari è essenziale inquadrare il contesto politico generale. Più che un governo di coalizione, l’esecutivo che sta per nascere ha l’impronta esclusiva di Giorgia Meloni. Nel crogiolo incandescente della fonderia della politica, dove si entra sotto forma di minerali o rottami e si esce acciaio, metalli vari o scorie, la premier designata ha infatti trasfigurato in una dimensione partitica più ampia l’origine base di Fratelli d’Italia e il contesto della Lega e di Forza Italia.

È l’inedita dimensione di un’area di governo parlamentare coesa, competente ed efficiente in grado di assicurare la continuità e la credibilità internazionale dell’Italia nell’ambito dell’Europa e dell’alleanza atlantica e soprattutto di guidare il Paese fuori dalle crisi concentriche del deficit energetico, del debito pubblico, dell’occupazione e del mancato sviluppo tecnologico.

Una metamorfosi politica percepibile intanto nella evidente mutazione politica di Forza Italia e in prospettiva nel cambio di fisionomia in incubazione nella Lega. Il successo elettorale del 25 settembre, l’incontrollabile delirio politico di Berlusconi e il crescente ridimensionamento di Salvini, hanno conferito a Giorgia Meloni una forza centripeta trascinante, in grado di assemblare una solida maggioranza parlamentare e la possibilità tutt’altro che remota, a causa della guerra in Ucraina e del rischio di un avvitamento della crisi globale, di un ulteriore passaggio a una fase di governo di unità nazionale. Scenari in accelerazione che potrebbero intanto determinare la formazione di un esecutivo col metodo Draghi: cioè la scelta diretta da parte della premier di ministri di area di sua fiducia.

Esattamente come avvenne per la nomina dei ministri Brunetta, Carfagna e Gelmini che non erano stati indicati da Forza Italia e Berlusconi all’allora presidente del Consiglio incaricato. Un primo esempio è la designazione del leghista Giancarlo Giorgetti e del prefetto Matteo Piantedosi, che dovrebbero assumere la responsabilità di ministeri chiave quali l’Economia e l’Interno. Bypassate le inevitabili turbolenze previste in ambito azzurro e leghista, il governo Meloni inaugurerà così la svolta degli esecutivi del premier e non più dei partiti. Un’innovazione in corsa, per il momento soltanto di fatto, a metà strada fra il sistema inglese e quello tedesco, ma che quanto prima dovrà necessariamente trasformarsi in prassi costituzionale. “Una nazione è democratica quando è capace di privare del potere i suoi governanti incapaci”, sosteneva il filosofo liberale Karl Popper.

All'orizzonte il governo della premier non dei partiti

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