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I governi italiani che accettano “il sopruso” degli Stati Uniti. I presidenti della Repubblica, presidenti del Consiglio e ministri degli Esteri, “incapaci” davanti al caso di Chico Forti ma non soltanto. A scrivere è Torquato Cardilli, ambasciatore italiano in pensione dal 2009, fustigatore del ministro degli Esteri accusato di aver tradito i valori del Movimento 5 stelle a cui lo stesso diplomatico si è iscritto nel 2012. A ospitarlo sul suo blog è Beppe Grillo, che dopo aver fondato il Movimento 5 stelle poche settimane fa ha chiuso un accordo da 300.000 euro che prevede, tra le altre cose, che il suo “sacro blog” sia remunerato per ospitare i post del partito oggi presieduto da Giuseppe Conte e amplificarne la diffusione.

Grillo ha ritrovato recentemente la voce sull’Ucraina. Qualche settimana fa, dopo due mesi di conflitto, ha ospitato sul suo blog due articoli. Il primo, non firmato, invocava lo smantellamento dell’esercito sul modello Costa Rica (per Roma, per Kiev o per entrambe?). Il secondo elogiava l’“approccio pacifico” della Cina. A firmarlo Fabio Massimo Parenti, professore alla China Foreign Affairs University di Pechino, presenza fissa del blog ma frequentatore anche del giornale ufficiale del Partito comunista cinese, il Global Times, difensore di Huawei e accusatore dei “terroristi” uiguri nello Xinjiang.

Scrive l’ambasciatore Cardilli nel suo articolo intitolato Due pesi e due misure che è “chiaro a tutti che la Russia ha infranto il diritto internazionale violando con le armi i confini dell’Ucraina per seminarvi morti e distruzioni, ma”. Ma? “Di violazioni e veti è pavimentata la storia” delle Nazioni Unite. Dev’essere qualcosa di simile al “pensiero laterale” di Alessandro Orsini che tanto piace a Conte.

In passato, sempre sul blog di Grillo, l’ambasciatore scriveva di “fuga disonorevole da Kabul”, accusava l’Italia di “servitù” agli Stati Uniti. All’inizio del 2020 aveva scritto di antisemitismo sul sito della Consul Press, la cui redazione aveva deciso di pubblicarlo ma con una premessa lunga oltre 1.600 caratteri che suonava come una presa di distanze (“la nostra ben diversa posizione”). A inizio marzo, ospite di PoliticaPrima, “il blog dove sei protagonista”, aveva paragonato ucraino Volodymyr Zelensky allo “psicopatico invasato” – parole dell’ambasciatore – Adolf Hitler. La colpa del presidente ucraino? Non volersi arrendere a Vladimir Putin. “Solo uno psicopatico invasato come Hitler poteva comandare ai suoi soldati la resistenza a Leningrado fino all’ultimo sangue, cioè ad immolarsi in una guerra persa”, aveva scritto. E ancora: “Il presidente ucraino dovrebbe dismettere i panni dell’eroe, abbandonare l’invocazione ad associare nel destino di morte gli altri paesi e accettare una trattativa per una resa dignitosa che fermi il conflitto”. Grande frequentatore anche del Blog delle Stelle, l’ambasciatore ha spesso dato sostegno a Grillo salutandolo perfino con Khoda Hafez, saluto persiano, forse un messaggio rivolto anche alla moglie del fondatore, l’iraniana Parvin Tadjik.

Ma chi è Torquato Cardilli, l’uomo a cui Grillo due anni fa aveva affidato la difesa dalle accuse di aver ricevuto fondi al regime venezuelano di Hugo Chávez?

Nato in provincia dell’Aquila il 24 novembre 1942, entra in diplomazia nel 1967 dopo la laurea a Napoli in Lingue e civiltà orientali. Lavora a Khartoum (Sudan), Damasco (Siria), Badgdad (Iraq) tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta. Nel 1979 è a Tripoli (Libia) e nel 1982 a L’Aja. Nel 1991 viene nominato ambasciatore a Tirana (Albania), poi nel 1993 a Dar-Es-Salaam (Tanzania). Rientrato a Roma nel 1997, tre anni dopo diventa ambasciatore a Riad (Arabia Saudita), dove rimane per due anni e mezzo. Dopo un quasi due anni alla Farnesina viene nominato ambasciatore a Luanda (Angola) e nel 2009, dopo un altro breve periodo al ministero, esce dalla diplomazia all’età di 67 anni.

A Riad è accaduto qualcosa, però. Ecco cosa scriveva il Corriere della Sera nel settembre 2002 dopo una “scomparsa” dal diplomatico partito da Gedda per l’Italia.

Secondo quanto era emerso, il 15 o il 16 novembre dello scorso anno, alla vigilia dell’inizio del Ramadan, Cardilli aveva chiesto al suo interprete saudita e al fratello di questi ad accompagnarlo a La Mecca. Imboccata la strada che solo i musulmani possono percorrere – per tutti gli altri si deve seguire una deviazione – i tre, a bordo dell’automobile del fratello di Mazen, si erano presentati al posto di blocco della polizia religiosa. Alla richiesta di fornire l«’iqawa», la carta d’identitá saudita, l’ambasciatore, che indossava una «jallabia», il vestito tradizionale arabo, aveva presentato un documento falso. La polizia, però, si era insospettita, ma li aveva lasciato andare, non senza prima avere preso il numero di targa. Da qui erano risaliti al proprietario, che, al suo ritorno a Riad, era stato prelevato dagli agenti e interrogato. Messo alle strette, l’uomo aveva confessato tutto. L’interprete era stato così arrestato, mentre l’ambasciatore era stato convocato urgentemente al ministero degli Esteri saudita. Ai funzionari Cardilli aveva detto di essersi recato a La Mecca perché aveva intenzione di convertirsi, spiegazione che fu ritenuta assai poco convincente.

Di questa storia si trova traccia anche su Wikileaks, in un cablo dell’ambasciata statunitense a Roma datato 8 aprile 2003. I diplomatici americani avevano parlato con Luigi Maccotta, allora responsabile degli Stati del Golfo alla Farnesina, in merito alla “prematura” partenza di Cardilli da Riad e la sostituzione con Armando Sanguini. Ecco cosa recita il documento.

Maccotta, molto schietto nella sua risposta, ha detto che Cardilli si trova in una “posizione imbarazzante”. Un anno e mezzo fa voleva visitare La Mecca, così “ha falsificato i documenti, e si è travestito da musulmano”. È stato catturato dalle autorità saudite, e quindi “si è convertito all’islam per evitare ulteriori problemi”. Questo è causa di inefficacia per la missione italiana nel Regno, in quanto Cardilli “diventò sostenitore delle posizioni saudite invece di perseguire gli interessi italiani”, ha detto Maccotta. Il ministero degli Esteri italiano, “per non essere percepito come anti-musulmano”, ha dovuto aspettare prima di richiamare Cardilli dal Regno, due anni e mezzo dopo l’inizio del suo mandato, ha spiegato Maccotta.

Cardilli non è il primo ex ambasciatore a Riad a essersi convertito all’islam. L’aveva fatto un suo predecessore, Mario Scialoja, ambasciatore in Arabia Saudita dal 1994 al 1996. Lui si era convertito nel 1988, quando era vice rappresentante permanente dell’Italia presso le Nazioni Unite a New York. Sulla conversione di Cardilli, invece, ci sono versioni discordanti. C’è quella raccontata dalla Farnesina ai colleghi statunitensi (ma non soltanto a loro evidentemente) e quella di Cardilli, che una settimana dopo la disavventura nel 2001 (pochi mesi dopo gli attentati alle Torri Gemelle), aveva detto al Washington Post di essersi convertito nel 1964 a Gerusalemme mentre studiava arabo. “Prima dell’occupazione israeliana”, teneva a sottolineare forse con riferimento alla Guerra dei sei giorni del 1967 rievocata anche nell’ultimo articolo sul blog di Grillo.

L’Italia e i “soprusi” Usa. Chi è Torquato Cardilli, l’ambasciatore preferito da Grillo

Sul blog del fondatore, che ha da poco firmato un accordo con il M5S da 300.000 euro, compare un articolo del diplomatico che attacca gli Stati Uniti e giustifica Putin. L’ingresso in diplomazia nel 1967 e il giallo della conversione all’islam

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