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Le terre rare rappresentano uno dei grandi foci dell’amministrazione Trump. Fondamentali tanto nell’elettronica di consumo che nella produzione di sistemi militari (radar, missili, satelliti, jet) ed energetici (turbine eoliche, batterie per veicoli elettrici, pannelli solari), questi materiali sono considerati come una delle risorse più strategiche per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Pur avendo sul proprio suolo giacimenti piuttosto estesi, come quello di Mountain Pass in California, gli Stati Uniti non dispongono però di riserve significative di alcune tipologie specifiche di terre rare, tra cui le cosiddette terre rare pesanti, che sono fondamentali per l’industria militare e quella high-tech. Per rifornirsi di questo tipo di risorse Washington è al momento costretto a passare per la Repubblica Popolare Cinese, che ad oggi detiene la quasi egemonia nella filiera delle terre rare, e in particolare nella raffinazione. Ma la Casa Bianca sembra essere intenzionata ad agire per modificare la situazione.

Una delle ultime iniziative statunitensi sembra guardare al sud-est asiatico, e in particolare al Myanmar. Secondo quanto riportato da Reuters, l’amministrazione Trump starebbe valutando alcune opzioni per ottenere l’accesso alle fonti di terre rare del Paese, per la maggior parte localizzate nella regione settentrionale del Kachin. L’area in questione è controllata dalla Kachin Independence Army (Kia), sul cui conflitto con la giunta militare al potere si basa la guerra civile che da anni infuria nel Paese.

Due sono gli approcci principali nelle ipotesi discusse all’interno dell’amministrazione: uno suggerisce negoziati diretti con la giunta militare per promuovere un accordo di pace con il Kia; l’altro propone invece di aggirare la giunta e collaborare direttamente con i ribelli, in rotta con i militari birmani dal colpo di Stato del 2021. Finora Washington ha evitato ogni contatto diretto con il regime militare, sanzionato per le gravi violazioni dei diritti umani contro la minoranza Rohingya. Ma nulla è da escludere quando si parla di sicurezza nazionale.

Tra le proposte emerse c’è anche l’idea di coinvolgere partner del Quad, in particolare l’India, per costruire una catena di approvvigionamento alternativa. La lavorazione delle terre rare estratte in Myanmar potrebbe così avvenire in territorio indiano, aggirando la dipendenza dalla raffinazione cinese. Tuttavia, un funzionario del governo indiano ha sottolineato che un simile progetto richiederebbe anni per essere attuato, a causa della necessità di creare da zero le infrastrutture industriali necessarie.

La questione è rilevante anche sotto un’altra luce. Pechino è infatti un protettore della giunta militare birmana e delle milizie che la sostengono (posizione che, tra le altre cose, gli permette l’accesso ad alcuni nuovi giacimenti di terre rare scoperti lungo la parte orientale del Paese), rendendolo uno dei principali stakeholder regionali. Un maggior coinvolgimento diretto degli Stati Uniti in Myanmar, soprattutto schierandosi a fianco delle fazioni avverse a Pechino, potrebbe dunque essere visto come un atto ostile da parte di Zhongnanhai. Parlando con Reuters l’esperto dell’area Bertil Lintner, è arrivato ad affermare che l’idea degli Stati Uniti di ottenere terre rare dal Myanmar sotto il naso della Cina sembra “assolutamente folle”, dato il terreno montuoso impervio e le infrastrutture logistiche primitive. “Se vogliono trasportare le terre rare da queste miniere, che si trovano tutte al confine con la Cina, all’India, c’è solo una strada”, ha detto Lintner. “E i cinesi sicuramente interverrebbero per impedirlo”.

Ancora non c’è stato nessun commento ufficiale sulla questione da parte delle autorità statunitensi, ma le fonti contattate da Reuters parlano di alcuni incontri esplorativi avvenuti nei mesi scorsi. Resta però incerto se queste ipotesi si tradurranno in un cambiamento effettivo della strategia americana in Myanmar, soprattutto considerando la tradizionale cautela di Trump nel coinvolgimento diretto in conflitti esteri.

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