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Oggi, prima del rinvio a domani, il consiglio di amministrazione di Pirelli si sarebbe dovuto riunire per discutere i conti. Ma anche, come anticipato dai media nei giorni scorsi, per trovare una soluzione alle difficoltà interne al gruppo. Da una parte c’è il management, guidato dal vicepresidente esecutivo Marco Tronchetti Provera, che guarda sempre più al mercato americano. Dall’altra c’è l’azione di riferimento, Sinochem, colosso nelle mani del partito-stato cinese. L’ingresso alla Bicocca è datato 2015, con tanto di plauso di Igor Sechin, amministratore delegato della società pubblica russa Rosneft (che sarebbe entrata in Pirelli nel 2014 con il 13% salvo poi, sette anni più tardi, portare un giornalista russo in tribunale – vincendo – accusandolo di aver scritto falsità): al Sole 24 Ore il fedelissimo del leader Vladimir Putin esprimeva soddisfazione per l’ingresso dei capitali cinesi che si univano alle conoscenze italiane e alla materia prima (la gomma) russa.

A pesare sono le ultime mosse americane, firmate dall’amministrazione Trump ma frutto anche del lavoro dell’amministrazione Biden – perché negli Stati Uniti repubblicani e democratico possono anche litigare su tutto, ma non sulla certezza che la Cina rappresenta la sfida principale. Il 17 marzo scorso, infatti, è entrata in vigore una legge che impone nuovi requisiti nelle catene di approvvigionamento per i produttori e gli importatori di automobili connesse e a guida autonoma per ragioni di sicurezza nazionale. In particolare, nel mirino sono finite le tecnologie prodotte in Cina e in Russia per via dei rischi legati all’accesso non autorizzato ai dati sensibili e ai sistemi interni dei veicoli. Questa svolta potrebbe mettere a rischio i piani di sviluppo di Pirelli sul mercato americano, che rappresenta circa il 40% del segmento ad alto valore per il gruppo. Il rischio è che l’adozione del duo hardware e software Cybertyre, che consente il dialogo fra i pneumatici e i sistemi di controllo dell’automobile, venga bloccata dalle autorità statunitensi con un duro impatto sulla volontà dell’azienda di consolidare la propria posizione nel settore dei cosiddetti pneumatici intelligenti.

Per questo, sul tavolo di Pirelli c’è l’ipotesi di un riassetto tra Sinochem, con il suo 37%, è il sistema MTP-Camfin di Tronchetti Provera, che detiene oggi il 26,4% del capitale.

Quella del management Pirelli è, dunque, una decisione assunta ex post, una risposta per controllare e limitare i danni. E non una mossa dettata da una strategia ex ante.

Nell’attuale contesto internazionale, questa vicenda dimostra come la definizione dei rapporti tra pubblico e privato stia diventando il tema principale della sicurezza nazionale oggi e per gli anni a venire. Se ieri la sicurezza era considerata un costo dalle aziende, oggi l’idea è che l’insicurezza rappresenti un rischio – prima che un costo – per la sicurezza nazionale e, di conseguenza, anche per le aziende.

È per questo che, per esempio, il ministro degli Esteri britannico, David Lammy, ha annunciato la scorsa settimana la creazione di una Geopolitical Impact Unit al Foreign Office dedicata alle imprese e il distaccamento di diplomatici presso alcune delle più grandi aziende del Regno Unito (si parte dal colosso aerospaziale Bae Systems). Una collaborazione pensata per creare sinergie tra settore pubblico e privato, rafforzando la comprensione reciproca e la capacità di affrontare le sfide globali.

Quando il business incontra la sicurezza nazionale. Pirelli al bivio

Il gruppo degli pneumatici si trova al centro di tensioni geopolitiche: da un lato, l’influenza di Sinochem, legata al governo cinese; dall’altro, le nuove regole americane che minacciano i suoi piani. La vicenda riflette un tema globale cruciale: il delicato equilibrio tra innovazione, economia e sicurezza nazionale

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Azionisti cinesi o mercato Usa? Cda rovente per Pirelli

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