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Ogni anno, commemorare Marco Biagi nel giorno della sua scomparsa, avvenuta tragicamente per mano delle Brigate Rosse, rappresenta un dovere morale e civile. Ricordarlo significa mantenere vivo il dibattito sulle sue idee innovative, ancora oggi oggetto di resistenze e ostilità. Biagi ha lasciato un insegnamento limpido: il benessere dei lavoratori e, più in generale, del Paese intero, si costruisce su pilastri solidi come la formazione professionale, una contrattazione collettiva orientata alla partecipazione attiva, salari legati alla produttività e alla redditività aziendale, oltre che al merito. A questa visione si aggiungeva la sua idea di un welfare pubblico strettamente intrecciato con le politiche attive del lavoro e con sistemi sussidiari regolati dai contratti collettivi nazionali (Ccnl), nonché dalla partecipazione diretta dei lavoratori alle decisioni aziendali.

Biagi aveva compreso, con straordinaria lungimiranza, che la flessibilità richiesta dal mercato del lavoro moderno non doveva tradursi in precarietà. Al contrario, sosteneva che essa potesse convivere con stabilità e sicurezza, purché accompagnata da retribuzioni adeguate, formazione continua e un welfare in grado di sostenere le esigenze emergenti del lavoro contemporaneo. Secondo il suo pensiero, la professionalità dei lavoratori, insieme a salari proporzionati ai risultati economici delle imprese, costituiva la garanzia per un lavoro dignitoso e stabile, capace di adattarsi alle trasformazioni tecnologiche e organizzative.

Purtroppo, le idee di Biagi sono state spesso messe all’indice da un conservatorismo politico e sociale che resiste a ogni tentativo di modernizzazione. Questo conservatorismo continua a sostenere una visione anacronistica del mercato del lavoro, incapace di adattarsi ai cambiamenti dettati dall’evoluzione tecnologica e dai nuovi modelli organizzativi. Un esempio emblematico di questa opposizione è rappresentato dal referendum promosso contro il Jobs Act, una riforma che ha voluto collocarsi nel solco delle riforme ispirate alla visione di Biagi. Tale resistenza al cambiamento evidenzia quanto sia difficile, ancora oggi, promuovere una visione progressista e riformista del lavoro.

La battaglia culturale, sociale e politica intrapresa da Marco Biagi non si è mai realmente conclusa. Il suo messaggio rimane un faro per chiunque creda nella necessità di un mercato del lavoro dinamico, equo e sostenibile, in cui diritti e doveri siano bilanciati da una visione moderna e inclusiva. I riformatori di oggi hanno il compito di raccogliere questa eredità, sfidando le resistenze e alimentando la speranza in un futuro migliore per i lavoratori e per il Paese. Ricordare Marco Biagi, quindi, non significa solo rendere omaggio alla sua memoria, ma anche impegnarsi concretamente per realizzare quella visione di modernità e giustizia sociale che egli ha delineato con il suo lavoro e il suo sacrificio.

Marco BIAGI

La battaglia di Biagi sul lavoro non si è mai conclusa. Scrive Bonanni

Biagi ha lasciato un insegnamento limpido: il benessere dei lavoratori e, più in generale, del Paese intero, si costruisce su pilastri solidi come la formazione professionale, una contrattazione collettiva orientata alla partecipazione attiva, salari legati alla produttività e alla redditività aziendale, oltre che al merito. Ricordarlo non significa solo rendere omaggio alla sua memoria, ma anche impegnarsi concretamente per realizzare quella visione di modernità e giustizia sociale che egli ha delineato con il suo lavoro e il suo sacrificio

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