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Sull’accordo per il nucleare iraniano, o Joint comprehensive plan of action (Jcpoa), oggi gli Stati Uniti hanno sostanzialmente due ragioni per tornare a offrire la loro disponibilità a trattare. In primo luogo l’opportunità di sgomberare il campo da una contemporanea ragione di crisi e di difficoltà, trovandosi oggi già impegnati nel comando dell’azione di difesa dell’Ucraina. È evidente che gli Usa non hanno alcun interesse nel vedere sul fianco orientale un Iran minaccioso.

Poi c’è sicuramente anche l’occasione, grazie a una negoziazione sul nucleare, di porre un ulteriore elemento di differenziazione e contrasto con Cina e Russia. In questo, a mio avviso, gli Stati Uniti si sbagliano, poiché Pechino e Mosca sono sempre state favorevoli a un accordo sul nucleare con l’Iran in quanto Paese interlocutore e alleato. Perciò, quanto al primo tema, se gli Stati Uniti dovessero riuscire a ingaggiare nuovamente la Repubblica islamica, avrebbero sicuramente un problema meno incombente nel grande Medio Oriente e potrebbero così dedicarsi a cercare di piegare la Russia in Ucraina.

Quanto al secondo tema, non credo che gli Stati Uniti potranno porsi nella posizione di affermare di essere gli unici a voler negoziare perché anche gli altri due competitor hanno lo stesso interesse. La vera questione, sul tema, è piuttosto che Washington ha incrinato i rapporti con il governo iraniano conservatore di Ebrahim Raisi fin dal principio. È infatti in primo luogo proprio l’Iran ad avere una difficoltà oggettiva a sedersi al tavolo negoziale del Jcpoa, date le concessioni che gli americani pretendono.

La guerra russa in Ucraina, d’altra parte, influenza l’andamento dei negoziati sui due aspetti sopra accennati, in primo luogo perché può facilitare gli Stati Uniti nel superamento delle obiezioni interne, che si basano sulla contrarietà dell’ala repubblicana del Congresso, segnatamente molto contraria alla ripresa del negoziato con l’Iran. È infatti molto chiaro che sarà necessario un sempre maggiore impegno sul fronte orientale in Ucraina, sgomberando il più possibile il campo da questioni spinose come la proliferazione nucleare iraniana.

In secondo luogo perché, sul Jcpoa, oggi Mosca ha un maggiore interesse ad avvicinarsi a Teheran, insieme con la Turchia, per cercare di fare tutto ciò che l’occidente non vuole, probabilmente suggerendo al partner iraniano di contestare tutte le proposte occidentali in seno ai negoziati. Per quanto riguarda la Russia e l’accordo sul nucleare, oggi c’è anche da chiedersi se Putin verrà mai più considerato come un interlocutore affidabile.

La parte occidentale, gli europei e gli Stati Uniti, probabilmente rimarrà ferma nella propria postura di sfiducia nei confronti del presidente russo, per quanto alcune parti possano assumere posizioni diversificate. Per quanto riguarda invece la parte iraniana, certamente la Repubblica islamica riterrà Putin e la Russia più che attendibili, e lo stesso varrà per la Cina. Infine, sull’accordo, l’Iran probabilmente continuerà a rivendicare il proprio diritto al nucleare “pacifico”, anche se è chiaro a tutti che si tratta solo di un pretesto.

Teheran vuole infatti diventare la prima potenza nucleare del grande Medio Oriente, dopo Israele, anche se questo significherebbe permettere di fatto la costruzione di un armamento nucleare saudita. Comunque ritengo che, dato il contrasto quasi storico tra i due Paesi sciita e sunnita, è abbastanza inverosimile che l’Iran permetta di dare il via a una tale escalation. In uno stallo sul negoziato o nella sua inesistenza è però invece molto verosimile che l’Iran continui ad arricchire l’uranio.

Si noti, su questo, che il giacimento di uranio più importante al mondo è in Kazakistan, Paese politicamente schierato con la Russia, e che probabilmente ha diversi interessi condivisi anche con l’Iran. Fino a che non verrà trovata l’agognata pace tra Ucraina e Russia, l’arricchimento dell’uranio procederà.

Questo articolo è stato pubblicato sul numero di maggio 2022 della rivista Formiche

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Se gli Stati Uniti riuscissero a ingaggiare nuovamente l’Iran nel Jcpoa, avrebbero sicuramente un problema meno incombente nel grande Medio Oriente e potrebbero dedicarsi a cercare di piegare la Russia in Ucraina. La vera questione è però che Washington ha incrinato i rapporti con il governo di Raisi fin dal principio. L’analisi di Franco Frattini, presidente della Società italiana per l’organizzazione internazionale, Sioi

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