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Massad Boulos, consigliere Senior per gli Affari Africani del Presidente Donald Trump, è atteso a Tripoli il 23 luglio per una visita che segna il primo intervento diplomatico ufficiale della nuova amministrazione statunitense nel dossier libico. Il viaggio prevede incontri con il presidente del Consiglio Presidenziale Mohammed Menfi, il primo ministro del Governo di Unità Nazionale (Gnu) Abdulhamid Dbeibah e il Glgovernatore della Banca Centrale Naji Issa, prima di una tappa a Bengasi per un colloquio con il leader della milizia più forte del Paese, Khalifa Haftar — a capo di un clan famigliare con connessioni internazionali, a cominciare da quelle russe. La visita, più volte rimandata nelle ultime settimane, coincide con un momento di estrema fragilità per la Libia e si inserisce in un quadro più ampio di rinnovato attivismo americano nel Mediterraneo.

Secondo fonti locali, la missione di Boulos non si limiterà a consultazioni istituzionali. Al centro delle discussioni vi sarebbero anche il possibile sblocco di circa 40 miliardi di dollari di beni libici congelati, di cui 15 miliardi potrebbero essere destinati a nuovi investimenti che coinvolgono gli Usa. Un incontro non ufficiale con il consigliere per la Sicurezza Nazionale del Gnu, Ibrahim Dbeibah, avrebbe già toccato anche temi sensibili come il reinsediamento in Libia di rifugiati palestinesi e migranti africani, in cambio di garanzie strategiche da parte americana. Un’indiscrezione confermata indirettamente da un’inchiesta di Axios, secondo cui il capo del Mossad, David Barnea, avrebbe proposto agli Stati Uniti la “rilocalizzazione volontaria” di rifugiati da Gaza verso la Libia — ed Etiopia e Indonesia. Il piano, se confermato, solleverebbe interrogativi di natura legale e politica.

In parallelo, la Libia è attraversata da tensioni crescenti che potrebbero degenerare in un nuovo conflitto armato, su cui il dipartimento di Stato sta mettendo in guardia i suoi concittadini. A Tripoli, il governo di Dbeibah è in rotta di collisione con la milizia Rada. All’interno del Gnu, le valutazioni divergono: il ministro dell’Interno Imad Trabelsi ritiene che un’azione militare contro Rada possa risolversi rapidamente, mentre Dbeibah teme un’escalation che potrebbe prolungarsi per sostanziale equilibrio di forze.

La situazione è aggravata dalla frammentazione di Misurata, divisa tra chi intende sostenere il governo (in pochi) e chi preferisce non intervenire. Questo vuoto potrebbe favorire una mossa da parte di Haftar verso la capitale. Il generale cirenaico, che gode del sostegno russo sin dal 2017 (con la Cirenaica diventata negli anni hub logistico strategico per la Russia in Africa), potrebbe sfruttare l’instabilità per tentare un’avanzata. Potrebbe contare su contatti con alcune milizie tripoline, a cominciare da Rada, e su una postura turca più accomodante rispetto al passato. Nemici che diventano quasi amici per interesse. pragmatismo. I rapporti economici curati dal figlio Saddam Haftar con parti dell’ecosistema imprenditoriale turco che circonda Recep Tayyp Erdogan e l’assenza di un’opposizione armata strutturata a Tripoli, rendono lo scenario plausibile, a patto che arrivi un tacito via libera da parte di Washington, come già accaduto nel 2019.

In questo contesto, Saddam Haftar ha intensificato la propria attività diplomatica. Negli ultimi mesi ha visitato Ankara, Roma, Il Cairo e Islamabad, incontrando ministri della Difesa e leader militari. A Islamabad ha discusso con il primo ministro Shehbaz Sharif di cooperazione militare, mentre ad Ankara si è parlato della possibile apertura di una base turca a Ghat. L’attivismo di Saddam è funzionale a costruire un profilo autonomo e affidabile agli occhi degli attori regionali e internazionali.

Secondo Ahmed Zaher, analista libico, le recenti missioni internazionali di Saddam Haftar vanno lette anche alla luce del processo di successione nella leadership dell’Est libico. “Saddam non ambisce a imporsi con la forza, ma a posizionarsi come figura gestibile e compatibile con diversi scenari di transizione”, spiega Zaher, che sottolinea come l’attivismo diplomatico del figlio di Haftar sia parte di una strategia di visibilità multilaterale pensata per consolidare una legittimazione ancora fragile.

L’Italia e l’Europa, osserva Zaher, guardano a questo profilo con un interesse prudente, spesso bloccate da un approccio emergenziale piuttosto che strategico. Roma, in particolare, rappresenta per Saddam un banco di prova: un interlocutore da conquistare, ma anche il simbolo di un’Europa che fatica a proporre una visione strutturale sul futuro istituzionale della Libia.

Il rischio che si delinea è duplice: da un lato la destabilizzazione di una regione vicina, dall’altro l’espansione dell’influenza russa (con il potenziale utilizzo del dossier migratorio come forma di arma ibrida). Roma ha già espresso le sue preoccupazioni a Washington durante la recente visita del ministro Antonio Tajani, chiedendo un impegno più diretto dell’Onu, sostenuto da Stati Uniti ed Europa, per avviare un processo politico credibile prima che la crisi degeneri.

Sul piano politico, la missione delle Nazioni Unite (Unsmil) appare sotto forte pressione. L’inviata Hana Tetteh dovrebbe presentare una nuova roadmap al Consiglio di Sicurezza all’inizio di agosto. Tuttavia la finestra per una soluzione pacifica si sta chiudendo rapidamente.

Nel frattempo la Francia si muove nel sud. Secondo fonti libiche, il generale Osama Juwaili, ex ministro della Difesa e comandante della Regione Militare delle Montagne Occidentali, si sta coordinando con Parigi per la cessione dell’aeroporto di Ghadames, vicino ai confini con Algeria e Tunisia. Sono informazioni che non possono essere confermate ufficialmente, ma l’obiettivo sarebbe quello di impedire un’espansione della presenza russa nella regione, ma anche muovere influenza in un’area in cui Parigi ha perso contatti storici.

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