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“Ogni crisi libera al contempo forze di morte e forze di rigenerazione. Da qui la sua radicale ambiguità”. Con queste parole Amedeo Feniello conclude il suo ultimo libro dedicato alla crisi ecologica, sanitaria, sociale, economica e spirituale rappresentata a livello planetario dalla pandemia del XIV secolo. Aggiungendo che ciò vale “tanto nel Trecento, in quel mondo travolto da demoni, venti e draghi. Quanto oggi”. Un libro che va letto. Per almeno due motivi.

Il primo è che si tratta di un libro tremendo. Il secondo che si tratta di un gran bel libro di storia. Un libro tremendo, nel senso etimologico della parola: il gerundivo latino di tremere, che vuol dire ciò “di cui si deve tremare”. Tutta la prima parte del libro, ripercorrendo cause e conseguenze a livello planetario della epidemia di peste del XIV secolo, parla di ciò “di cui si deve tremare”. E si scopre che si tratta di tante cose. Anzitutto l’instabilità climatica, con l’abbassamento delle temperature, l’alternarsi di siccità e inondazioni che provocarono shock ambientali con tempi e luoghi diversi. A seguire le locuste (che sono una varietà di insetti tutti imparentati alle più note cavallette): sciami di una grandezza che può variare da uno a mille chilometri quadrati. Una piaga in grado di distruggere ogni tipo di vegetazione, compresi i raccolti che dovrebbero sfamare la specie umana.

Feniello riporta una terribile testimonianza dell’imperatore Carlo IV, che nella sua autobiografia descrive uno sciame da lui visto nel 1338: “Un soldato ci destò dal sonno all’alba, gridando: ‘Signore, alzati, sta sorgendo l’ultimo giorno, perché il mondo intero è pieno di locuste!’. Ci alzammo, montammo a cavallo e cavalcammo in fretta verso Pulkau, perché volevamo vedere la fine dello sciame. Solo lì, dopo sette miglia, potemmo constatarne la fine […] Il loro frinire era come un rumore fragoroso, le loro ali erano come disegnate con lettere nere, sembravano una densa coltre di neve, così che a causa loro il sole non poteva essere visto. Diffondevano un fetore invadente». Un terzo tremendum, dopo il clima e le locuste, fu il morbillivirus un agente patogeno di cui al tempo non si conosceva l’esistenza, ma che si diffuse, anche grazie ai mutamenti climatici, anzitutto assumendo la forma della peste animale, bovina: una epidemia che, partendo da est, si diffuse rapidamente in tutto il continente euro-asiatico. Si giunge così al più grande tremendum.

Per usare le parole di Feniello: “La madre di tutti i contagi fu la peste nera. La pandemia capace di oscurarne ogni altra nella storia dell’umanità. Un prodigio di distruzione, tanto ampia da abbracciare tutto il Vecchio Mondo e di espandersi con una velocità inusitata, devastando l’Asia, il Medio Oriente, il Nord Africa e l’Europa”. E, naturalmente, i vettori della malattia che furono: il bacillo, un organismo microscopico, che si riproduce attraverso altri vettori, il più importante dei quali fu la pulce, la quale a sua volta, nutrendosi del sangue dei mammiferi, trasmette il bacillo anzitutto al terzo vettore: il topo nero. Da quest’ultimo all’uomo il salto per la pulce fu facile e, con esso, il bacillo si trasmise e provocò la peste umana, che però nel frattempo aveva trovato anche altre forme di trasmissione, attraverso la sua forma polmonare.

A questi fattori ambientali e sanitari, si aggiungono a questo punto i fattori sociali, che aggravano le condizioni di sviluppo della pandemia: “Le città, il grande elemento di snodo di un’epoca, alimentano i più violenti focolai, ricche com’erano di una massa di poveri, indigenti, affamati, dove la mancanza di igiene e di salute pubblica era la norma. Ma peggio avviene nelle campagne, abitate da donne e uomini indeboliti, provati dalle sequenze delle carestie, fiaccati dalla morte dei propri animali uccisi a loro volta da un’altra pandemia”… Il bilancio della peste, alla fine, è senza precedenti. Nelle grandi città il contagio infierì anche per dodici mesi ininterrotti, e pure di più: a Londra, che aveva circa 80 mila abitanti, ci vollero quindici mesi perché l’epidemia si interrompesse. A Parigi, sedici. A Venezia, con una popolazione che oscillava tra i 110 e i 120 mila abitanti, diciotto! Ai testimoni del tempo balzò subito agli occhi la misura del massacro. La prima sensazione che si ha, leggendo queste pagine del libro di Feniello, è quella della piccolezza dell’essere umano.

A dispetto di ogni presunzione di onnipotenza, gli uomini e le donne sono piccola cosa nei confronti della natura, dai microrganismi all’energia solare. È questa anche una lezione di metodo storico: nel XIX secolo Karl Marx pensava che l’economia fosse la struttura dell’evoluzione della storia, mentre la politica, la cultura o le religioni non fossero che la sovrastruttura.

Oggi dobbiamo sempre ricordarci che l’economia è essa stessa una sovrastruttura e che, se proprio si vuole trovare una struttura che segna il tempo, questa è quella dei fenomeni naturali, che piegano a loro piacimento ogni altro avvenimento umano. Infatti il libro prosegue mostrando come alcune organizzazioni sociali, economiche e politiche, che si erano sviluppate nei secoli precedenti, non riuscirono a sopravvivere davanti ai disastri provocati dalla crisi del XIV secolo.

Basta scorrere la lista per avere un’idea dell’ampiezza dei fenomeni qui osservati. Il crollo definitivo della società Khmer in Cambogia, che aveva il suo fulcro nella città sacra di Angkor Vat. La fine della dinastia Yuan in Cina, esito di un concentrato di carestie, pestilenze, violenze, cui si associano movimenti che hanno anche una radice religiosa.

Il crollo del sultanato musulmano di Delhi, in India. La fine del sistema politico, ma insieme sociale, che aveva governato le acque del Nilo, in Egitto, per millenni. La crisi del potere bizantino nei Balcani e in generale il lungo periodo di instabilità che caratterizzò l’Impero di Costantinopoli nel XIV secolo. La crisi dei due poteri “universali” (considerati tali nei secoli precedenti) nell’Europa occidentale: la Chiesa e l’Impero. Eppure, come si diceva all’inizio, la crisi liberò “al contempo forze di morte e forze di rigenerazione”. La seconda parte del libro segue i processi di rigenerazione, seguendo tre principali direttive: quella del drago (la Cina) quella dei venti (la Russia e l’Asia meridionale), quella dei demoni (l’Europa).

Non entriamo nei particolari di questi variegati processi di resistenza e di ricostruzione dopo la crisi ambientale e sanitaria della pandemia, per lasciare al lettore il piacere della scoperta di chiavi di lettura nuove e talvolta impreviste. Qualche osservazione generale alla fine si impone. La prima è che viviamo in un mondo interconnesso. Le vicende degli esseri umani erano legate tra loro anche in secoli in cui essi ne avevano una percezione molto parziale. È già stato osservato a livello climatico. Tutti conoscono il cosiddetto «effetto farfalla» descritto per primo da Edward Lorenz nel 1962: “Un meteorologo fece notare che se le teorie erano corrette, un battito delle ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre”. Per studiare i fenomeni complessi matematici e fisici hanno inventato nuovi strumenti, come la teoria del caos, e i calcoli probabilistici. Non è certo un caso se Feniello, per provare a descrivere alcuni eventi storici e le connessioni che ci sono o meno tra loro, abbia usato una categoria tratta dagli studi di genetica: il concetto di paesaggio adattativo.

Feniello lo spiega così: “Infiniti paesaggi, quelli del nostro Pianeta, richiedono un’ecologia, delle interazioni, degli assestamenti, delle risposte. E adoperano delle strategie – singole o condivise – per raggiungere lo scopo prefissato: sopravvivere e riprodursi attraverso la conquista di un equilibrio che è adattamento agli ostacoli e alle difficoltà dell’ambiente”.

Lo studio di tali paesaggi adattativi diventa via via più difficile quando si passi ad esseri viventi più complessi. Nel caso degli esseri umani tutto ciò è quindi particolarmente difficile. Di qui l’enorme difficoltà di fare una storia mondiale dell’umanità. Il compito è semplicemente impossibile con gli strumenti che abitualmente utilizziamo per fare storia: l’accesso alle fonti primarie, redatte in lingue e con retroterra culturali estremamente diversificati, resta inaccessibile non solo ad un singolo studioso, ma anche ad un team di studiosi di diversa provenienza. Non è un caso che Feniello abbia costruito tutta la sua descrizione sulla base di una poderosa ricerca storiografica. Non poteva essere altrimenti. Eppure pochi libri come questo ci spiegano che l’interconnessione c’è. Nel bene e nel male. E c’è stata anche nel passato. Forse in futuro si troveranno strumenti più efficaci per indagarla, in ogni caso ringraziamo Feniello per aver avuto il coraggio di cominciare a raccontarla.

Perché bisogna leggere assolutamente un libro "tremendo"

Di Marco Bartoli

Con “Demoni, venti e draghi. Come l’uomo ha imparato a vincere catastrofi e cataclismi” (Laterza), Amedeo Feniello, ha firmato un volume che va letto. Per due motivi. Il primo è che narra di cose “di cui si deve tremare”. Il secondo perché è un gran bel libro di storia. La recensione di Marco Bartoli, docente di Storia medievale all’Università Lumsa di Roma

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