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Usa e Cina si annusano, si cercano, si parlano, misurando tatticamente le loro distanze strategiche, cercando un modo per evitare che il confronto totale in corso scivoli verso derive incontrollabili. Si cercano terreni, per ora ibridi, per faccia a faccia finalizzati a capire come e dove posizionare i guardrail di una potenziale macro-intesa, ipotizzata dalle letture più pragmatiche delle relazioni internazionale, ma ancora tutt’altro che chiara negli eventuali lineamenti.

Il primo incontro diretto tra il segretario di Stato americano, Marco Rubio, e il ministro degli Esteri cinese, il capo della diplomazia della Repubblica popolare Wang Yi, si è svolto per esempio a margine del 58esimo vertice dell’Asean a Kuala Lumpur, in un contesto segnato da profonde tensioni geopolitiche. Al centro della discussione finora di maggior livello del nuovo, vecchio corso presidenziale statunitense c’è stata la competizione strategica, segnata da divergenze sul commercio e sull’equilibrio di potere globale – innanzitutto nella regione indo-pacifica.

Rubio ha definito il colloquio “costruttivo e positivo”, pur precisando che “non si è trattato di una negoziazione”. Le due parti hanno convenuto sulla necessità di mantenere aperti i canali diplomatici e di esplorare aree di cooperazione, pur riconoscendo le divergenze persistenti. Una dichiarazione ufficiale del ministero degli Esteri cinese ha descritto l’incontro come “positivo, pragmatico e costruttivo”, sottolineando l’intenzione comune di rafforzare il dialogo e gestire le differenze.

L’apertura diplomatica si inserisce in un contesto segnato da una rinnovata assertività americana. Alla vigilia della visita di Rubio nella regione – la prima in qualità di segretario di Stato – funzionari statunitensi avevano dichiarato che l’Asia orientale e sud-orientale rappresentano una priorità per l’amministrazione Trump. Tuttavia, la pressione esercitata dagli Stati Uniti tramite nuovi dazi commerciali ha suscitato preoccupazioni diffuse tra i partner regionali.

Durante il vertice, l’Asean ha espresso “preoccupazione” per l’impatto dei dazi sull’economia asiatica, definendoli “controproducenti”. Trump ha minacciato tariffe tra il 20 e il 50% contro oltre 20 Paesi, inclusi Giappone e Corea del Sud, se non verranno conclusi nuovi accordi entro il 1° agosto. Rubio ha cercato di rassicurare gli interlocutori asiatici, sostenendo che i deficit commerciali “massicci” vadano affrontati per ristabilire condizioni eque, ma Tokyo e Seul in primis sono in difficoltà, in cerca di nuove proiezioni più indipendenti.

Le frizioni commerciali si sommano a un contesto di crescente confronto militare. Il segretario alla Difesa statunitense, Pete Hegseth, ha recentemente accusato la Cina di prepararsi credibilmente a un uso della forza per alterare l’equilibrio regionale, in particolare nei confronti di Taiwan. Pechino ha reagito duramente, accusando Washington di strumentalizzare la questione taiwanese per “contenere la Cina” e ha invitato gli Stati Uniti a smettere di “giocare col fuoco”.

Nonostante le divergenze, Rubio ha espresso fiducia nella possibilità di un incontro diretto tra Donald Trump e Xi Jinping, affermando che “esiste una forte volontà da entrambe le parti”, anche se al momento non è in discussione una data per il vertice tra leader. Un’eventuale riunione di questo genere potrebbe rappresentare un nuovo tentativo di stabilizzare il confronto totale tra le due potenze, dopo la temporanea riduzione reciproca dei dazi concordata a maggio e definita da Trump un “reset totale”. Che però, visto l’evoluzione del contesto, nella realtà appare più parziale.

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