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In apparenza petrolio, gas e grano sono i materiali che più impattano sulle economie mondiali dopo l’invasione russa, per le note vicende legate all’approvvigionamento energetico. Ma c’è dell’altro come dimostrano i ricchi terreni anche nelle repubbliche separatiste e cosa contengono nel sottosuolo. Il ferro ucraino copre il 6% del fabbisogno globale, mentre il titanio il 20%. Così il Cremlino punta tutto sulle risorse (visto che la campagna militare su Kiev è un flop).

Titanio

Ferro, titanio, lignite e metalli rari: l’elenco è preciso, come precisi sono gli impatti su vari fronti produttivi. Il prezzo del titanio è dato in aumento di due terzi a causa dell’interruzione della catena di approvvigionamento e delle sanzioni russe. Anche per questa ragione i produttori giapponesi di titanio dovrebbero guadagnare di più, mentre il mercato globale è di fatto sconvolto. Per citare uno dei casi più noti, la statunitense Boeing ha recentemente smesso di acquistare titanio dal suo più grande fornitore, ovvero la società russa VSMPO-Avism, ramo della statae Rostec.

Anche nel settore medicale ci sono e ci saranno conseguenze: nomi in vista come Zimmer acquistavano tutto il titanio per le protesi da Ucraina e Russia. Ora bisognerà immaginare fonti alternative, perché Mosca è fuori gioco per le sanzioni e Kiev non riuscirà nel medio periodo a rimettere in piedi il proprio sistema, senza dimenticare che molti metalli in questione sono presenti copiosi nelle repubbliche separatiste.

Fronti produttivi

Nichel e palladio sono centrali nella produzione dell’acciaio inossidabile, delle batterie agli ioni di litio necessarie per alimentare le auto elettriche, nella produzione di convertitori catalitici. Il settore dell’automotive ne è direttamente coinvolto. I prezzi del nichel sono aumentati del 400% dall’inizio di quest’anno e sono particolarmente attenzionati dagli analisti perché, già nell’ultimo biennio, sono stati interessati da anomali aumenti di prezzo: certamente ha influito la pandemia, ma l’invasione russa dell’Ucraina ha fatto il resto assieme ad una buona dose di speculazione. Più di qualcuno ha ipotizzato che Mosca potesse imporre un divieto di esportazione. Nel 2020 l’Ucraina ha esportato in Cina 7,26 miliardi di dollari di prodotti come ferro, mais e oli di semi: come dire che non solo l’Europa è interessata da questo vero e proprio terremoto commerciale.

Scenari

Lo scorso anno la Cina ha rappresentato il 60% della produzione globale di minerali secondo lo United States Geological Survey: numeri che, senza il contributo dei minerali ucraini, non potranno che incrementarsi sostenendo ulteriormente Pechino. E mentre migliaia di vagoni merci restano bloccati al confine con l’Ucraina, la guerra impatta sulle esportazioni di oggi e anche sugli scenari di domani in aree solo apparentemente distanti. Attenzione alle prospettive per un paese significativo come l’Australia: in quanto economia aperta, è molto vulnerabile anche per via delle relazioni tra Mosca e Pechino che possono incidere sulle sue capacità di esportazione.

Infine il settore dello shipping: è stato già raggiunto il livello più alto dei prezzi delle materie prime su rotte commerciali strategiche come Baltico, Mar Nero e Mediterraneo. Alla luce di questi dati è realistico immaginare che il primo trimestre dell’anno segnerà un record negativo sui prezzi dei flussi di merci mescolati al costo dei noleggi per le navi cisterne.

@FDepalo

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