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Forse il disaccoppiamento economico temuto all’inizio della pandemia Covid-19 non si realizzerà. Ma è in dubbio che i governi delle principali potenze mondiali si stiano attrezzando con nuovi strumenti per proteggere i pezzi pregiati delle loro economie in una fase segnata dal conflitto tra le due superpotenze globali, cioè Stati Uniti e Cina. Ne è un esempio l’Italia: basti pensare al sempre più frequente utilizzo dei poteri speciali da parte del governo Draghi, che in soli 10 mesi ha ordinato tre dei cinque veti decisi dall’esecutivo italiano dal 2012, da quando cioè la legge italiana prevede la possibilità per il governo di utilizzare i poteri speciali per bloccare o delimitare la cessione di un’azienda ritenuta strategica per il Paese in settori come per esempio le telecomunicazioni o l’energia.

Simili misure sono sul tavolo anche dei governi di Taiwan e della Cina. Il governo di Taipei teme la stretta – economica ma non soltanto – da parte di Pechino, che ritiene l’isola parte della Repubblica popolare cinese. Il governo, invece, è alle prese con dinamiche interne che riflettono la volontà del leader Xi Jinping di aumentare il controllo centrale anche sulle aziende private per evitare che queste, a partire da quelle tecnologie, possano offuscare la sua immagine, se non addirittura rosicchiargli potere. Un esempio? Jack Ma, il fondatore di Alibaba, ostracizzato da Pechino e ormai scomparso dalla vita pubblica.

QUI TAIPEI

Il governo taiwanese sta lavorando a nuove norme che richiederanno alle aziende locali di “chiedere l’approvazione” dell’esecutivo “se hanno intenzione di vendere o trasferire uno qualsiasi dei loro asset, impianti o filiali in Cina”. Inoltre, i professionisti i cui progetti hanno ricevuto finanziamenti pubblici avranno bisogno di autorizzazione per recarsi in Cina.

Come spiegato dal quotidiano giapponese Nikkei, l’obiettivo è “prevenire la fuga di tecnologie sensibili, compresi i semiconduttori”. Una mossa che arriva dopo la decisione dell’amministrazione della presidente Tsai Ing-wen di inasprire lo screening degli investimenti cinesi nelle aziende taiwanesi per proteggere le tecnologie sensibili e di vietare alle agenzie per il lavoro di pubblicizzare offerte per settori sensibili, come i semiconduttori, che si trovano in Cina.

QUI PECHINO

L’agenzia Reuters ha rivelato che il governo cinese ha deciso di mettere un piede nelle aziende locali che gestiscono una grande quantità di dati, in linea con la stretta imposta con la nuova legge sulla privacy. Il tutto utilizzando l’istituto giuridico della golden share, con le quote che vengono acquistate da fondi o aziende legate al governo, che così guadagnano un posto nel consiglio di amministrazione e/o diritti di veto per le decisioni aziendali cruciali.

Ma non c’è soltanto questo. “Le autorità sono ora anche decise ad avere un certo controllo sulle vaste quantità di dati di proprietà di alcune aziende”, scrive Reuters: “i dati sono visti come un bene nazionale a rischio di attacchi e abusi, anche da parte di Stati stranieri”. Sotto i riflettori ci sono, per esempio, le aziende private specializzate in notizie e contenuti online ma anche Didi, la versione cinese di Uber, e ByteDance, cioè la società di TikTok.

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