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Mentre la guerra in Ucraina sposta l’attenzione internazionale e rischia di fare esplodere i focolai di Covid in Europa (l’avvertenza arriva dall’Organizzazione Mondiale della Sanità), la Cina si trova ad affrontare l’ondata della variante Omicron.

Dopo due anni di pandemia, la politica di tolleranza zero della Cina fa i conti con la prima grande bocciatura. Diverse province del Paese sono bloccate per l’aumento dei casi della variante altamente contagiosa.

Il quotidiano The New York Times conferma che la strategia del governo cinese continua ad essere il contenimento: “In risposta anche a un singolo caso di Covid, i funzionari possono sigillare tutti gli ingressi di un negozio, un edificio per uffici o persino un centro congressi. Tutti all’interno devono rimanere lì anche per diversi giorni poiché vengono testati per il Covid e mandati in isolamento se sono infetti”.

Nella Cina continentale i contagi sono quintuplicati negli ultimi giorni. Il sistema di tracciamento e test comincia ad esser sopraffatto. Ma, a differenza di molti Paesi occidentali, Pechino non può permettersi di revocare le restrizioni. La Cina “ha bassi tassi di vaccinazione tra gli anziani e molti meno posti letto ospedalieri di terapia intensiva rispetto alla maggior parte dei Paesi industrializzati – prosegue il NYT -. Un grande focolaio potrebbe rapidamente mettere in crisi gli ospedali, soprattutto nelle zone rurali”.

L’ondata Covid in Cina è considerata la peggiore dal 2020, e compromette l’attività commerciale e produttiva. Uno dei luoghi più colpiti da questa situazione è Shenzhen, considerata la “Silicon Valley” cinese. Come si legge su sito di Agi, a Shenzhen con 66 nuovi positivi 17 milioni di persone tornano in lockdown.

La città è il più grande centro industriale della provincia di Guangdong, e ha recentemente informato a tutte le imprese che non prestano servizi pubblici di base che dovranno fermare la produzione. I lavori più importanti si svolgeranno invece in smart working.

Tra le imprese costrette a fermarsi c’è Foxconn, gigante dell’elettronica e principale fornitore di Apple. L’impresa ha comunicato che “gli affari di Foxconn a Shenzhen, in Cina, sono stati sospesi dal 14 marzo in conformità con la nuova politica Covid-19 del governo locale”. Alla Cnbc, la compagnia ha aggiunto che le fabbriche resteranno chiuse finché lo decideranno le autorità cinesi. Foxconn opera a Shenzhen da 34 anni e negli ultimi anni ha aperto anche in altre province, dove il costo del lavoro è più basso.

A Hong Kong, che confina con Shenzhen, la situazione continua ad essere molto critica. Secondo Our World in Data, è la regione con il più alto numero di morti per Covid al mondo. A Shanghai, capitale finanziaria e di imprese straniere, i bambini sono tornati alla didattica a distanza e molti quartieri sono in lockdown per test di massa. Le autorità hanno chiesto ai residenti di non lasciare la città se non è assolutamente necessario.

Preoccupa molto anche la situazione a Jilin, nella provincia nord-ovest. Nella città Changchun, che è in lockdown, è stata interrotta la produzione di Toyota e Volkswagen per lo stop dell’impresa locale FAW Group. Secondo il Financial Times, “le autorità di Jilin si stanno affrettando a costruire quattro nuovi ospedali e strutture di quarantena con 16.000 posti letto per separare le persone infette dal coronavirus e i loro contatti stretti dal resto della popolazione”.

Il rischio è una nuova crisi nella catena di approvvigionamento globale e un ulteriore impatto negativo sui mercati finanziari. La Borsa di Shanghai, per esempio, è scesa del 2,6% mentre la Borsa di Shenzhen è scesa del 3,08 %. La Borsa di Hong Kong ha perso il 5%, il minimo da maggio del 2016.

Sun Chunlan, vice primo ministro cinese, ha qualificato la nuova ondata Covid come “grave e complicata” e ha chiesto alle autorità sanitarie locali di fare il possibile per contenere la diffusione del virus. Dopo la riunione di venerdì del Parlamento cinese, il governo centrale ha deciso di proseguire la rigida strada dello zero Covid.

“Non è il momento di discutere la politica zero Covid – ha dichiarato l’epidemiologo Zhang Wenhong -. Se la Cina decidesse di aprire agli stranieri, aumenterebbero i casi in un periodo molto breve, sovraccaricando il sistema sanitario nazionale, causando un danno irreparabile”.

Per Ting Lu, economista di Nomura per Cina, abbandonare la strategia zero Covid potrebbe suggerire che è stata fallimentare: “I prossimi 12 mesi sono un periodo critico per il cambio di leadership, e questo motiva i leader a mantenere lo status quo per evitare errori di politica […] Le foto dei pazienti Covid a Hong Kong per strada hanno convinto i funzionari cinesi e il pubblico che la strategia Zero Covid è l’unica soluzione per la Cina”. Anche se i costi economici stanno aumentando e i benefici sono pochi.

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