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Mentre al G20 si decideva di perseguire l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni inquinanti entro la metà del secolo, il governo italiano presentava in Parlamento una manovra fiscale che dispone una drastica riduzione degli incentivi per l’efficientamento energetico degli edifici.

Potrebbe essere riassunto con questo paradosso il contenuto delle misure in materia di “bonus edilizi” (come vengono inopportunamente, quanto diffusamente, definiti) presenti nel disegno di legge di Bilancio approvato dal Consiglio dei Ministri la scorsa settimana e in attesa di essere esaminato dal Parlamento. Ma non sarebbe sufficiente, visto che il taglio realizzato dall’esecutivo è ben più ampio e riguarda anche altre tipologie di interventi sugli immobili.

Più in generale, infatti, la manovra opera una vera e propria decimazione del sistema di incentivi per gli interventi finalizzati alla riqualificazione, al risparmio energetico e alla messa in sicurezza del nostro patrimonio edilizio. Un sistema, peraltro, unanimemente riconosciuto come indispensabile volano di crescita economica. Ma soprattutto un sistema – in particolare nelle sue versioni più rafforzate (detrazione del 90% per il rifacimento delle facciate e del 110% per super-ecobonus e super-sismabonus) – pensato per conseguire obiettivi di ordine generale, concernenti per l’appunto l’aspetto delle nostre città, la riduzione dell’inquinamento e la protezione dalle conseguenze dei terremoti.

Ma vediamo, almeno a grandi linee, in che cosa consiste la decimazione in questione.

Il superbonus 110% è stato prorogato al 2023 solo per i lavori in ambito condominiale. Per le case singole, l’estensione è di appena sei mesi e condizionata a un parametro, l’Isee, di cui non si comprende l’attinenza con un incentivo fiscale e che comunque escluderà dalla misura la stragrande maggioranza dei potenziali utilizzatori. Cosa tanto più grave se si pensa all’urgenza di interventi, specie di miglioramento sismico, che si registra in molte aree interne del nostro Paese (la salvaguardia dei borghi e la rivitalizzazione delle aree interne interessano solo a parole, evidentemente…). Il bonus facciate del 90% viene di fatto eliminato (la riduzione al 60% si traduce in questo), facendo morire sul nascere l’opera di riqualificazione delle città italiane che si era appena avviata, con buona pace di chi – anche al governo (ministro Franceschini in testa) – invoca il suo mantenimento. Il bonus mobili, infine, viene ridotto a meno di un terzo, posto che passa da 16.000 a 5.000 euro la spesa massima su cui applicare la detrazione.

A tutto ciò si aggiunge il carico da undici dell’eliminazione – per tutti gli incentivi escluso quel che resta del superbonus – del meccanismo dello sconto in fattura e della cessione del credito, creato proprio per agevolare l’utilizzo delle detrazioni, specie da parte delle famiglie a basso reddito.

In questo quadro, fa un po’ effetto leggere le dichiarazioni degli esponenti dei partiti che sostengono l’attuale governo. Tutte, o quasi, sono critiche nei confronti delle misure sopra sinteticamente illustrate. L’auspicio, allora, è che il Parlamento faccia valere le sue prerogative e riesca a eliminare almeno gli aspetti più negativi del testo governativo. Conservandone, naturalmente, la parte apprezzabile, quella che prevede una minima stabilizzazione degli incentivi più importanti, disponendone un’estensione sino al 31 dicembre 2024.

Se, invece, tutto rimarrà come anticipato, l’effetto di queste novità è facile da prevedere: in futuro meno cantieri e meno lavoro, oggi rischio paralisi per gli interventi programmati o già avviati. Anche perché il taglio previsto dalla manovra si pone in netto contrasto con le aspettative del comparto alimentate dallo stesso esecutivo negli ultimi mesi, e creerà ulteriore tensione su un mercato già fortemente stressato dalla mancanza di materiali e di imprese disponibili nonché dai marcati aumenti dei costi degli interventi.

superbonus

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