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Ricostruire l’Ucraina sarà l’impegno dell’Occidente del prossimo futuro. I soldi andranno trovati, anche perché ne serviranno molti. Ma le idee, quelle per fortuna, non mancano. In queste ore prende il via a Roma la Conferenza sulla ripresa dell’Ucraina 2025 (URC2025), quarta edizione di una serie di appuntamenti annuali di alto livello, concepiti per sostenere la rapida ripresa e la ricostruzione a lungo termine dell’Ucraina, in risposta all’invasione su vasta scala da parte della Russia.

Alla Nuvola dell’Eur sono attesi oltre 90 Paesi e 80 tra capi di Stato di governo, tra cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il cancelliere tedesco Friedrich Merz, il primo ministro della Polonia Donald Tusk. Baricentro della due giorni romana, con Giorgia Meloni padrona di casa, sarà il ruolo delle imprese italiane nella ricostruzione del Paese. D’altronde, servirà tecnologia, infrastruttura e buona manodopera made in Italy. A rappresentare le aziende, nel corso della Conferenza, sarà Barbara Cimmino, vicepresidente di Confindustria con delega all’export. La quale ha affrontato con Formiche.net tutti i temi direttamente o indirettamente connessi all’evento.

Il ruolo delle imprese sarà essenziale, oggi e soprattutto domani. A nome di tutte le imprenditrici e gli imprenditori italiani, auspico che questo impegno possa dispiegarsi appieno il prima possibile, ma in un contesto in cui la sicurezza sia garantita sotto ogni profilo. Guardare all’Ucraina non significa soltanto partecipare alla ricostruzione post-bellica: significa riconoscere un mercato che si sta preparando all’integrazione europea e che offre risorse, competenze e capitale umano di grande valore.

Confindustria, però, ha già mosso i primi passi…

Sì, Confindustria è stata la prima organizzazione imprenditoriale europea a dotarsi di una presenza stabile a Kyiv, presso l’Ambasciata italiana. Fin dall’inizio abbiamo coinvolto il nostro sistema associativo per mappare i settori in cui le imprese italiane possono offrire un contributo di qualità: sono molti, e in diversi casi le nostre aziende sono già attive sul campo. Uno degli aspetti meno raccontati, ma fondamentali, è il rafforzamento dei legami con le nostre controparti ucraine: dalla Ukrainian Chamber of Commerce and Industry (Ucci), alla Union of Ukrainian Entrepreneurs (Sup), fino alla Federation of Employers of Ukraine (Feu). Sono attori chiave per costruire partnership industriali solide, basate sulla collaborazione tra imprese locali e italiane. A un secondo livello, lavoriamo sul piano istituzionale, in dialogo costante con il governo ucraino e con i membri della Ukraine Donor Platform, promossa dal G7.

Guardando alla Conferenza di Roma, quali i propositi e gli obiettivi degli industriali?

Alla Conferenza di Roma del 10 luglio, Confindustria assumerà la presidenza del Business Advisory Council (Bac), l’organo consultivo creato dalla Conferenza di Berlino per coordinare il sostegno del settore privato alla ripresa economica dell’Ucraina. L’obiettivo va oltre la ricostruzione fisica e non riguarda solo settori nevralgici come energia, infrastrutture, trasporti, edilizia civile e industriale, o sanità. Si tratta di contribuire a ricucire il tessuto economico e produttivo del Paese, promuovendo collaborazioni industriali nei settori strategici, da quelli tradizionali a quelli ad alta intensità di innovazione. Solo per fare qualche esempio: agroindustria, siderurgia, meccanica, lavorazione del legno e dei metalli, energie rinnovabili, farmaceutica, telecomunicazioni e industria digitale. Settori cruciali per rilanciare un’economia connessa, inclusiva e proiettata verso il futuro.

Proviamo a stringere il campo. L’Ucraina, si sa, è ricca di minerali critici e, in generale, materia prima senza la quale non è possibile immaginare lo sviluppo e l’innovazione chiesti oggi dal mercato. In questo senso, come intendono porsi le imprese italiane?

È un tema strategico che va affrontato con realismo e visione di lungo periodo. Il potenziale geologico e minerario dell’Ucraina è significativo, in particolare per quei materiali fondamentali alle transizioni energetica e digitale. Tuttavia, perché questo patrimonio si traduca in opportunità concrete per il sistema industriale italiano ed europeo, devono essere presenti alcune condizioni oggi ancora troppo fragili o non pienamente realizzate. Mi riferisco anzitutto alla sicurezza, alla certezza giuridica, a procedure amministrative snelle e affidabili, alla stabilità operativa, alla disponibilità di infrastrutture e di energia, tutti elementi necessari per rendere sostenibile un investimento industriale. Ma soprattutto, e questo va sottolineato, serve una pace duratura. Molti giacimenti si trovano infatti in zone direttamente o indirettamente coinvolte dal conflitto, o nella sua prossimità. È un aspetto centrale.

Perché?

La catena che collega concessione, estrazione, lavorazione e impiego industriale di queste materie prime richiede investimenti ingenti, che devono essere assicurabili, bancabili, attrattivi. Senza un contesto stabile, questi progetti non possono decollare. Ecco perché, anche in questo settore, il compito di Confindustria è lavorare per creare le condizioni che consentano alle imprese italiane di posizionarsi efficacemente. Lo facciamo collaborando con attori pubblici e privati, a livello nazionale, europeo e multilaterale, per favorire un quadro operativo che sia sicuro, trasparente e sostenibile nel tempo. Infine, una considerazione importante: oltre all’approccio classico che vede le materie prime come input, dobbiamo sviluppare una visione di filiera. Le ricostruzioni, anche nei comparti strategici, possono diventare vettori di crescita congiunta, valorizzando la trasformazione industriale sul posto e costruendo catene del valore resilienti, capaci di guardare oltre la semplice estrazione.

Quasi sette mesi di guerra commerciale hanno piegato nervi e fiducia di tanti sistemi produttivi, incluso quello italiano. Il quale però, sembra sempre avere una qualche forma di resilienza, quasi una batteria ausiliaria, grazie alla quale sopravvivere e adattarsi. Le pare una lettura corretta?

Il sistema industriale italiano è solido, e i numeri lo confermano. Nel 2024 abbiamo esportato beni per 624 miliardi di euro; siamo la seconda manifattura in Europa e la sesta al mondo. Negli ultimi dieci anni il nostro export è cresciuto del 27,3%, con performance superiori a molti Paesi del G7. Anche nel primo trimestre del 2025 i segnali sono positivi: +3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Tuttavia, le imprese italiane stanno affrontando un momento di forte incertezza. Le recenti scelte della politica commerciale americana e l’instabilità dei mercati globali, alimentata da tensioni geopolitiche sempre più pervasive, hanno aumentato la complessità dello scenario. In ogni settore industriale si avverte la difficoltà di operare in un contesto in cui le regole sono meno chiare, il ruolo delle istituzioni multilaterali si è indebolito e le barriere tra Stati e mercati tornano a crescere. In questo contesto, le imprese italiane dimostrano ciò che le distingue: innovazione, flessibilità, capacità di adattamento. L’Italia vanta il più alto indice di diversificazione industriale a livello europeo e una matrice produttiva articolata, in grado di rispondere con rapidità anche a shock esterni.

Con gli Stati Uniti è, però, in atto un confronto…

Il confronto che si è aperto con l’amministrazione americana, che ha adottato dazi sproporzionati verso partner storici come l’Italia e l’Europa, ci pone di fronte ad uno scenario dagli effetti in larga misura imponderabili. L’export italiano verso gli Stati Uniti vale oltre 65 miliardi di euro, circa il 10% del totale e interessa molti dei settori di punta del Made in Italy. Si tratta di prodotti ad alta specializzazione, difficilmente riconvertibili verso altri mercati. Il rapporto con gli Stati Uniti ha anche una valenza strategica, per la presenza di catene del valore profondamente integrate, in particolare nei settori farmaceutico e meccanico. Difendere e rilanciare queste relazioni è essenziale. Per questo, serve tenere aperto il dialogo e lavorare per un’intesa che rafforzi tanto il mercato europeo quanto quello americano. Sosteniamo dunque con convinzione la linea europea di apertura e confronto con Washington, ma allo stesso tempo crediamo in un approccio pragmatico.

Ovvero cercare nuove sponde, sotto forma di mercati?

Sì, è fondamentale diversificare i mercati di sbocco, e in questo senso va accelerato il completamento degli accordi commerciali già negoziati. Serve chiudere l’accordo con il Mercosur, sbloccare il dialogo con l’India e concludere i negoziati ancora aperti con Australia e Paesi Asean. È notizia recente, inoltre, l’intenzione dell’Unione Europea di avviare trattative per un accordo di libero scambio con gli Emirati Arabi Uniti, un mercato particolarmente promettente per il Made in Italy. Anche su questo fronte dobbiamo agire con decisione e rapidità.

Torniamo all’Ucraina. Una delle conseguenze più significative del conflitto in Ucraina è stato il progressivo sganciamento energetico dell’Italia dalla Russia. Ora le parole d’ordine sembrano essere nucleare, rinnovabili e fonti di gas alternative a Mosca. A che punto è la notte?

L’invasione russa dell’Ucraina ha costretto l’Unione europea a fare i conti con una vulnerabilità strutturale maturata nel tempo: la dipendenza energetica da un unico fornitore, la Russia. Prima del conflitto, l’Italia importava circa il 40% del proprio gas naturale da Mosca. A metà 2025, questa quota si è ridotta a meno dell’8%, grazie a una strategia di diversificazione che ha coinvolto fornitori come Algeria, Azerbaigian, Stati Uniti e Qatar, anche attraverso il crescente utilizzo del gas naturale liquefatto (Gnl). Il recente Consiglio Ue Energia di Lussemburgo ha rafforzato la linea di contenimento delle forniture russe. La Commissione Europea ha delineato una roadmap ambiziosa, fondata su tre pilastri: crescita delle rinnovabili, incremento dell’efficienza energetica e diversificazione geografica delle forniture di gas. Il gas naturale rimane cruciale per l’Italia, sia perché gli impianti termoelettrici fissano il prezzo dell’elettricità nella maggior parte delle ore dell’anno, sia perché molti comparti industriali dipendono da questa risorsa per soddisfare i propri fabbisogni di calore. Questi impianti vedono un futuro sostenibile, grazie al biometano, all’idrogeno e alla cattura e stoccaggio della CO2 (CCS). Sul piano elettrico, l’Italia ha accelerato la crescita delle energie rinnovabili, in particolare fotovoltaico ed eolico. Gli ultimi anni hanno registrato un incremento significativo degli impianti installati, ma i lunghi tempi di autorizzazione burocratica (permitting) restano un freno rilevante, il principale ostacolo al raggiungimento degli obiettivi fissati a livello nazionale ed europeo.

Le imprese tifano anche nucleare, comunque.

L’Italia ha scelto di aderire all’Alleanza europea per il nucleare, segnando un cambio di passo nella propria politica energetica. Una scelta che riflette la consapevolezza del ruolo del nucleare come complemento necessario alle rinnovabili, per assicurare stabilità nella produzione e sicurezza negli approvvigionamenti, contribuendo al contempo alla riduzione delle emissioni. Confindustria ha più volte sottolineato l’urgenza di reinserire il nucleare nel mix energetico nazionale. Si tratta di una tecnologia imprescindibile per garantire sicurezza energetica e competitività industriale. Il nucleare permette infatti di ottenere contemporaneamente energia elettrica e calore, una soluzione particolarmente adatta ai distretti produttivi. Il prossimo 16 luglio, Confindustria presenterà uno studio realizzato con Enea sulle nuove tecnologie nucleari, in particolare sugli impianti modulari di piccola scala (SMR – Small Modular Reactor) e avanzati (AMR – Advanced Modular Reactor). L’auspicio è che il governo adotti rapidamente un quadro normativo chiaro e favorevole allo sviluppo del nucleare, superando gli ostacoli burocratici e promuovendo un confronto trasparente e informato con l’opinione pubblica.

Così le imprese italiane possono fare la differenza nella ricostruzione dell'Ucraina. Parla Cimmino (Confindustria)

La rinascita dell’Ucraina, di cui parleranno oltre 80 tra capi di Stato e di governo in occasione nella due giorni alla Nuvola dell’Eur, passerà per forza di cose dal contributo delle aziende italiane. Le quali hanno anche un gran bisogno di minerali critici. I dazi? Giusto trattare, ora l’Italia tiri dritto sul nucleare. Intervista a Barbara Cimmino, vicepresidente di Confindustria

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