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Guerre spaziali in arrivo? Forse ancora no, ma prepariamoci a orbite sempre più competitive, a livello economico e militare, con nubi di pericolosi detriti. Parola di Marcello Spagnulo, ingegnere ed esperto aerospaziale, presidente del Marscenter e autore di “Geopolitica dell’esplorazione spaziale” (Rubbettino, 2019). Lo abbiamo raggiunto per commentare il nuovo test russo e ciò che potrebbe innescare nella competizione tra potenze. Dopo la condanna degli Stati Uniti, della Nato con Jens Stoltenberg e dell’Ue con Thierry Breton, ieri la Russia ha ammesso di aver distrutto uno dei suoi satelliti Cosmos con un test missilistico, negando tuttavia di aver messo in pericolo altri assetti spaziali. Eppure, lunedì, sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) sono scattate le procedure di emergenza “safe haven”, con gli astronauti costretti a spostarsi a bordo della capsule Soyuz e Dragon.

Ingegnere, siamo alla vigilia delle guerre spaziali?

Non so se siamo alla vigilia di un evento di questo tipo, ma non mi sentirei di escludere la possibilità di una sua rapida concretizzazione. Cerco di spiegare meglio il mio pensiero per non incorrere in considerazioni superficialmente allarmistiche. Negli anni Sessanta le due superpotenze spaziali, Stati Uniti e Unione Sovietica, si sfidavano militarmente sulla terra e tecnologicamente nello spazio, un dominio che dominavano incontrastate. E in questo senso l’orbita terrestre ha sempre avuto una sua dimensione militare e, insieme, una crescente ma limitata dimensione economica. Nel secolo attuale l’aspetto economico è diventato predominante e in prospettiva un “enabler” di predominio commerciale sulla terra (vedasi l’arrivo delle società private del cosiddetto New Space) e quindi lo spazio si è trasformato in maniera evidente in un ambito, non solo di confronto tecnologico, ma anche di pervasivo sfruttamento economico. Essendo una prateria praticamente inesplorata, diventa quindi un dominio da presidiare, dominare e difendere. Nella storia dell’umanità questi passaggi hanno sempre condotto a scontri. Stiamo assistendo ai primi passi di questi scontri. È il primo step, in cui le superpotenze, oggi non più solo due, si stanno reciprocamente prendendo le misure con atti dimostrativi.

Non solo i russi, anche gli americani e i cinesi stanno sviluppando delle proprie armi spaziali. È una nuova corsa agli armamenti?

Sì, come detto prima le superpotenze oggi non sono solo due ma tre, con la Cina. Ma in pratica anche più di tre. L’India ha effettuato con successo un test anti-satellite (Asat) nel 2019 quindi oggi sono già quattro le nazioni che hanno questa capacità di deterrenza. Non escludo che Giappone, Francia e Regno Unito stiano pensando a sistemi Asat.

La componente cinetica è una scelta adatta?

La componente cinetica, cioè la distruzione fisica dei satelliti, è solo una delle opzioni, di sicuro la più evidente dal punto di vista dell’intimidazione e la più shoccante per l’opinione pubblica perché inonda l’orbita di migliaia di detriti. Però, al momento, è anche la più diretta da perseguire (anche se di non semplice realizzazione) e la più impressionante se si vuole intimidire un avversario. Ovvio che dal punto di vista dell’efficacia l’hackeraggio cibernetico di un satellite o della rete di terra che lo controlla resta il mezzo più acuto per danneggiare un sistema.

I detriti sono un problema crescente e sentito da tutta la comunità spaziale internazionale. Al di là degli eventi di origine antropica, come un test Asat, quali sono le altre implicazioni di un crescente inquinamento delle orbite?

Questo è un tema su cui scriviamo da tempo su Formiche.net, ed è davvero preoccupante. Io lo chiamo “antropocene spaziale” e forse non abbiamo ancora la reale consapevolezza del problema che ci si sta prospettando. Le nubi di migliaia detriti potrebbero diventare in teoria nel prossimo futuro delle specie di “fasce di Van Allen”, non elettromagnetiche ma fisiche, dove di fatto non sarà sicuro orbitare e di conseguenza nessuno – in linea teorica – potrebbe stabilmente occupare. Oggi queste azioni non sono deliberate per scopi come questo ovviamente, ma le conseguenze a cui dobbiamo pensare non possono essere scevre da preoccupazioni che forse oggi ci paiono suggestive o esagerate. Una volta passato il “tipping point” tutta va poi velocissimo.

Come sulla Terra, sembra riverberarsi nello spazio la crisi ambientale. Quali contromisure sarà necessario implementare per garantire nel futuro la sostenibilità delle orbite?

Ci si preoccupa a ragione dei detriti, ma nel frattempo le orbite sono invase da migliaia di satelliti attivi. La Fcc (Federal communications commission) statunitense ha appena autorizzato la SpaceX ad abbassare l’altitudine dei futuri satelliti della costellazione Starlink in Leo (nonostante le proteste di altri operatori satellitari) da 1.100-1.300 chilometri a 540-570 chilometri (e faccio notare che, guarda caso, il test Asat russo è stato effettuato a 480 chilometri proprio nel mezzo di una trafficata area Leo che include proprio la stessa Starlink, oltre alla Iss). Il progetto della Starlink prevede un primo lotto di 4.400 satelliti, di cui 1.400 già operativi in orbita oggi, ma sappiamo che la configurazione finale dovrebbe essere di dodicimila. Poi ci sono i progetti di Amazon, di Oneweb e di altri che verranno. Chi garantirà la gestione del traffico orbitale o (cosa importantissima) le operazioni di messa fuori uso sicura dei satelliti a fine vita? Il fatto è che nello spazio si sta giocando una guerra militare e economica dove chi arriverà per primo godrà di un vantaggio di “occupazione” del dominio. Per questo gli scontri cresceranno. I Forum internazionali al momento non ci sono o servono a poco, non vorrei ci si dovesse arrivare solo dopo un evento traumatizzante che costringa tutti a farlo.

Di fronte alla militarizzazione dello spazio e della disinvoltura con cui alcuni Paesi conducono le loro attività spaziali, tra lanci di armi Asat a satelliti e intere stazioni spaziali lasciate vagare per le orbite senza controllo, è sempre più urgente una nuova regolamentazione per lo Spazio. Quali attori dovranno essere coinvolti e in quali sedi per raggiungere l’obiettivo?

Se guardiamo ai risultati di sedi quali la recente Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nota come Cop26, c’è da porsi qualche domanda sul tema di quale sia la sede giusta per affrontare questi temi. Se si affrontasse per esempio la problematica dei detriti spaziali con un obiettivo temporale a venti o trent’anni – ricordo che l’obiettivo della Cop26 è di azzerare le emissioni nette entro il 2050 – avremo comunque un serio problema entro questo decennio. E non mi sembra un tema che possano affrontare le agenzie spaziali perché la pervasività delle aziende private rende il tavolo diversificato. Forse bisognerebbe pensare a organizzare una Iata (International air transport association) mondiale a livello spaziale, cioè un’organizzazione cui siano obbligati a aderire gli enti privati che lanciano e operano satelliti (escludendo la parte dei servizi). Questo ente potrebbe normare la gestione dei voli spaziali (un po’ come avviene per quelli aeronautici) stabilendo regole condivise di safety per i lanci, le operazioni e il rientro. Mi auguro ci si cominci a pensare presto.

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