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La presidente della Bce Christine Lagarde in un discorso pronunciato a Lisbona in occasione del 175esimo anniversario del Banco de Portugal ha dato un segnale per il post pandemia. “Per quanto riguarda gli acquisti di attività, per il momento continuiamo a utilizzare il Pepp, Pandemic emergency purchase programme (programma di acquisto per l’emergenza pandemica), per salvaguardare condizioni di finanziamento favorevoli e garantire che i costi di finanziamento per tutti i settori dell’economia non diventino troppo onerosi. Un indebito inasprimento delle condizioni di finanziamento non è auspicabile in un momento in cui il potere d’acquisto è già schiacciato dall’aumento delle bollette dell’energia e del carburante e rappresenterebbe un ingiustificato vento contrario per la ripresa”. Un discorso importante, quello della Banca centrale, in un momento in cui il caro prezzi si fa sentire. Sia nella percezione sia effettivamente nel portafoglio.

E proprio oggi un articolo a firma della nota sondaggista Alessandra Ghisleri su La Stampa spiega, dati alla mano, come gli italiani si sentono rispetto a prima della pandemia. Ben il 40,7% si sente più povero e in un mese circa si è registrato un +4,1% di pessimismo dell’indice di fiducia nel futuro economico, finanziario e lavorativo delle famiglie. Il 79,3% degli intervistati sottolinea l’aumento del costo della vita e il 53,8% sostiene che l’origine è da ritrovare nell’emergenza sanitaria che ha dato un colpo ferale all’economia e al mercato del lavoro, facendo aumentare di conseguenza i prezzi su materie prime e trasporti.

Percezione dominante tra gli over 45 del nord Italia. Inoltre, per un cittadino su due l’aumento dei prezzi riguarderebbe tutti i prodotti in generale, mentre per un cittadino su quattro sarebbe principalmente su carburanti ed energia.

Non è solo percezione su alcuni settori. Gli italiani sanno bene che un mese fa il ministro della Transizione ecologica ha avvisato del caro bolletta del 40% sull’elettricità. E le prime stangate nelle case e non solo sono arrivate. Ieri dal ministro Roberto Cingolani stesso è giunta una rassicurazione, ovvero nel corso dell’evento “Industrial Decarbonization Pact” ha detto che in previsione dell’abbassamento del prezzo del gas da marzo in seguito alla partenza del Nord Stream, dobbiamo stingere i denti questo trimestre: “Ma se ci arriva un altro aumento importante non possiamo andare avanti a contingenze”, ha affermato Cingolani.

Il governo nella legge di Bilancio ha stanziato 2 miliardi di euro per tentare di calmierare i prezzi energetici, ma si avranno mesi piuttosto duri. Arera, l’Autorità di regolamentazione dell’energia, ha già avvisato che nel primo quadrimestre 2022 ci sarà “un ulteriore significativo aumento dei prezzi”. E se non si prendono provvedimenti prima, a gennaio torneranno gli “oneri di sistema”, tolti per ora dall’esecutivo proprio per ovviare agli aumenti.

Intanto, ieri la commissione Attività produttive alla Camera ha deliberato un ciclo di audizioni sull’andamento dei prezzi dei prodotti energetici. Avviati i contatti con Eni, Enel, Terna e appunto Arera. L’audizione di quest’ultima potrebbe tenersi il 10 novembre. Mentre Energia Libera ha chiesto di essere ascoltata nel ciclo di audizioni.

Ma non solo le famiglie risentono dell’aumento dei prezzi, al Mise come scrive Il Mattino, sono arrivate le richieste di alcune imprese per poter mettere in Cassa integrazione i propri dipendenti con la causale “caro energia”. Una sorta di inedito ammortizzatore sociale che dia un aiuto alle imprese, soprattutto quelle della Ceramica, vetro, gomma, plastica, in estrema difficoltà.

“Il rincaro generalizzato del costo dell’energia rappresenta uno shock che rischia di compromettere la ripresa dell’economia italiana nel breve termine”, ha fatto sapere in una nota ieri il presidente di Confindustria Lombardia, Francesco Buzzella. “Come Confindustria Lombardia ci risulta che alcune aziende, in particolare medie imprese, stanno valutando di attuare lockdown energetici mirati per fermare la produzione nei mesi di maggior consumo energetico. Si tratta di imprese che non hanno stipulato contratti di lungo periodo e che quindi, dipendendo dall’andamento congiunturale dei prezzi di mercato – triplicati in queste settimane rispetto allo stesso periodo del 2020 -, valutano più conveniente chiudere nel mese di dicembre piuttosto che produrre. A essere compromessa sarebbe la competitività di quelle aziende che in particolare lavorano sui mercati internazionali, essendo quello del ‘caro bolletta’ un problema speculativo esclusivamente europeo”.

E invece in Europa se ne riparlerà a dicembre considerando che una strategia comune per contrastare il rialzo dei prezzi energetici è fallita durante l’ultimo Consiglio straordinario dei ministri dell’Energia tenutosi in Lussemburgo martedì. Da una parte ci sono Spagna, Francia, Polonia, Grecia e l’Italia che hanno come obiettivo uno stoccaggio comunitario; dall’altro Olanda, Finlandia e Germania (e altri Paesi) che, preoccupati di un eventuale rallentamento degli investimenti sulle fonti rinnovabili e il processo di transizione ecologica, preferiscono far rimanere invariato il sistema.

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