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Il papa a “Che tempo che fa”. È ancora una notizia, certamente, perché Francesco è una novità tanto chiara e profonda quanto dura da digerire per chi considera il vescovo di Roma la massima espressione di un mondo chiuso su se stesso, che si parla addosso, che vive in una torre eburnea. La sua Chiesa non è così. Perché allora il papa si va a comprare gli occhiali in un negozio del dentro cittadino, va a visitare il negozio di dischi di vecchi amici, gira come noi usando un’utilitaria? Perché è un uomo, che vive la nostra vita, e vivendo la nostra vita ci comunica un messaggio che ci riguarda. Soffre come noi, ride come noi, ha amici come noi. Non è un semi-dio. È un nostro amico, lui forse direbbe un nostro fratello, che ci chiede di aiutarlo, (“non vi dimenticate di pregare per me”) e può aiutarci nelle difficoltà di ogni giorno. È questa “normalità” che lo rende un leader morale globale. Un leader morale che crede e comunica questa fede standoci accanto, parlando con noi. Francesco dunque è un leader morale in uscita, e la sua Chiesa è in uscita, quindi nel mondo, con il mondo, al quale e con il quale si relaziona. Lo vuole conoscere questo mondo, vuole capirlo e farsi capire da lui parlando la sua lingua, vivendo i suoi problemi.

C’è un modello per decifrare, immaginare questa Chiesa? Credo che non serva una grande cultura teologica o ancor più ecclesiologica per trovarlo in Gesù. Indubbiamente chiunque abbia anche una piccola conoscenza evangelica sa che Gesù andava in sinagoga, frequentava i luoghi sacri, ma spesso il racconto evangelico ce lo presenta a contatto con il popolo, e non solo quello credente. Camminava per strada, incontrava persone, parlava, li ascoltava. Questo sappiamo più o meno tutti. Non sarà questa la Chiesa in uscita?

La Chiesa in uscita di Bergoglio non parla a sé stessa, parla a tutti. Cerca il modo di comunicare con questa società che spesso viene definita “scristianizzata”. Perché lo è, o perché lo sarebbe? Se fosse vero ci sarà un motivo. Forse non ce ne sarà uno solo, ma la chiusura, l’autoreferenzialità, il linguaggio, possono esserne una delle tante cause. Per evangelizzare una società che si ritiene o che viene definita scristianizzata forse serva anche parlarci, capirla, dialogarci, trovare convergenze e divergenze, capire e spiegare, sentire e dire.

Le resistenze alla novità comunicativa di Francesco sono molto interessanti. È come se per chi non capisce o non condivide Francesco la Chiesa non abbia nulla da vedere, da sentire, da capire e nessuno con cui parlare, farsi capire. È interessante. Forse per costoro la Chiesa è chiusa, impenetrabile, mai mater ma sempre magistra.

E invece questo nostro tempo dimostra quanto bisogno ci sia di non sentirsi soli, chiusi in un guscio virtuale, nel quale gli algoritmi ci rappresentano una realtà a nostra immagine e somiglianza: ci arrivano solo i messaggi di ciò che ci piace, di chi la pensa come noi. E finiamo in una bolla. Francesco buca questa bolla, queste bolle. La sua Chiesa non è una bolla, e così lui sbarca su Netflix perché ha trovato il modo di essere in quel programma testimone tra tanti testimoni della nostra generazione, sbarca su Canale 5 perché deve parlare con tutti, non solo con i cultori della bella tv, ma anche con quelli che con frequentano i canali popolari, o commerciali. E sbarca da Fazio. È un pubblico cattolico quello di Fazio? O è un pubblico di mangiapreti? Difficile dirlo, ma è un pubblico. E lui cercherà non di indottrinarlo, ma di stabilirci un dialogo.

Quando si parla di guerre quasi tutti invocano il metodo del dialogo invece che quello delle armi. Ma quando il dialogo deve entrare nella nostra vita molti si stupiscano che il papa voglia parlare, dialogare, anche con chi magari non sa, o presta poca attenzione ai fatti di Chiesa, o della Chiesa. La Chiesa in uscita non sarebbe in uscita se parlasse solo a se stessa, indifferente al resto della società, dell’umanità.

Chiesa arroccata o in uscita? Cosa c’è dietro la scelta del papa di andare da Fazio

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