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In tre ore e mezzo di faccia-a-faccia Vladimir Putin e Recep Tayyip Erdogan si sono trovati d’accordo “quasi su tutto”. È stato lo stesso presidente turco a spiegarlo oggi alla stampa di ritorno dal vertice di Sochi, pur inviando contestualmente un messaggio a Joe Biden: l’auspicio di un bilaterale a margine del G20 che si riunirà a Roma.

UNA SOLUZIONE PER LA SIRIA?

Ieri, a Sochi, Putin ed Erdgan hanno affrontato un’ampia gamma di temi di cooperazione bilaterale, dagli aspetti d’industria militare alla Siria, dal nucleare allo Spazio. È il sintomo di un dialogo che funziona, costantemente rafforzato negli ultimi anni e rapido a dimenticare l’abbattimento del Sukhoi russo sul confine siriano, a fine 2015, da parte di due F-16 decollati dalla base aerea Nato di Incirlik, in Turchia, punto più basso dei rapporti tra Mosca e Ankara. Da allora è stato un crescendo, nonostante si trovassero a sostenere parti opposte nel confronto in Siria. Proprio questo ha consolidato i rispettivi ruoli nella gestione della crisi, fino all’incontro di ieri, quando Putin ed Erdogan si sono impegnati per “una soluzione permanente”. Passa dal “cacciare gli elementi terroristici ancora presenti a Idlib che possono svolgere azioni offensive o aggressive contro l’esercito siriano”, ha spiegato il portavoce del Cremlino Dmitrij Pskov, mettendo in chiaro il primo risultato raggiunto da Mosca a Sochi. Ad Ankara preme soprattutto stabilizzare la situazione. La crisi, ha spiegato lo stesso Erdogan, “ha comportato costi pesanti per l’intera regione, in particolare per i nostri Paesi”. Oltre ai drammi umanitari, ha aggiunto, “l’onere economico del processo ha raggiunto dimensioni insopportabili per tutti noi”.

GLI INTERESSI DI PUTIN

Il secondo incasso Putin l’ha ottenuto sul fronte energetico. Il primo blocco della centrale nucleare di Akkuyu, affidata nella realizzazione alla russa Rosatom, potrebbe attivarsi il prossimo anno, così da entrare in servizio nel maggio del 2023. Erdogan ha poi confermato il pieno sostegno di Ankara alla costruzione del gasdotto Turkish Stream, col quale (a detta di Putin) la Turchia si è messa a riparo dalla “turbolenze del mercato europeo”. Dall’inizio dell’anno, Gazprom ha consegnato ai turchi 96 milioni di metri cubi di gas, più di quanto inizialmente previsto.

LA SPINA NEL FIANCO DELLA NATO

Considerevole l’attenzione dedicata ai temi della collaborazione militare e industriale. Già la scorsa, al New York Times (intervista pubblicata ieri), Erdogan spiegava che “non ci sarà alcun passo indietro” sul sistema missilistico russo S-400. È il simbolo dello scivolamento di Ankara verso Mosca e del parallelo allontanamento da Washington, tradottosi nell’estromissione della Turchia dal programma F-35 e nell’avvio delle sanzioni Caatsa. La questione è esplosa nella primavera del 2019 quando, alle prime consegne del sistema russo, il Pentagono rispondeva minacciando di interrompere la collaborazione sul caccia di quinta generazione. Il novembre successivo neanche l’incontro tra Erdogan e Donald Trump è riuscito a risolvere la questione, e così a luglio 2020 il dipartimento della Difesa americano ha annunciato ufficialmente che sarebbe stata la US Air Force a farsi carico dell’acquisto dei velivoli che Lockheed Martin avrebbe dovuto vendere ad Ankara, compresa la riconfigurazione di sei apparecchi già dotati della livrea turca. Ancora prima il Pentagono aveva fatto sapere di aver trovato alternative al contributo dell’industria turca, elemento su cui Ankara ha cercato di giocare spesso per restare dentro il programma. Da parte loro, gli Usa hanno continuato a offrire alla Turchia il sistema Patriot, senza però riuscire a evitare la consegna effettiva dell’S-400, che a ottobre dello scorso anno ha effettuato i primi test sul Mar Nero, segnando il definitivo punto di rottura.

I MARGINI PER BIDEN

Per Erdogan “ne è valsa la pena”, perché la questione dimostra che Ankara può “rafforzare le sue difese come desidera”. Eppure, non è certo un segreto che le Forze armate e l’industria turca abbiano particolarmente sofferto l’uscita dall’F-35 (i segnali sono anche recenti). Forse per questo il presidente turco ha rispolverato il tema degli investimenti impegnati sul programma: “Abbiamo effettuato un pagamento di 1,4 miliardi di dollari, che ne sarà? Non abbiamo trovato facilmente tali risorse; o ci daranno i nostri aerei o ci daranno i soldi”. La prima occasione utile per parlarne direttamente con Joe Biden arriverà a Roma, a margine del G20 a presidenza italiana. Di ritorno a Sochi, Erdogan ha detto alla stampa che spera in un bilaterale col collega americano. Il clima non sarà dei migliori, considerando che il presidente turco ha recentemente spiegato di trovarsi peggio con Biden rispetto ai tempi di Trump.

DALL’S-400 ALLO SPAZIO

A complicare il tutto c’è la prospettiva che la collaborazione tra Turchia e Russia si allarghi ben oltre il sistema S-400, con conseguente incremento di insofferenza anche da parte della Nato. Lo stesso Erdogan ha riferito di aver parlato con Putin di possibili collaborazioni nella sfera aerospaziale, in particolare sul lancio di razzi da piattaforme terrestri e marittime. “Il presidente Putin – ha detto – è favorevole alla collaborazione con la Turchia nel settore spaziale; le nostre delegazioni ci lavoreranno e definiremo una tabella di marcia; abbiamo idee per una cooperazione su scala avanzata”. Di più: “Possiamo collaborare con la Russia nella costruzione di navi e di sottomarini; ci saranno progressi anche in questa direzione”.

Dai missili allo Spazio, così Erdogan abbraccia Putin (ma guarda Biden)

“Ne è valsa la pena”. Così Erdogan ha descritto lo strappo con gli Stati Uniti generato dall’acquisto del sistema russo S-400, tradottosi nell’esclusione di Ankara dal programma F-35. Ieri, a Sochi, il presidente turco ha rilanciato con Putin la collaborazione bilaterale (dalla Siria fino allo Spazio), salvo poi esprimere la “speranza” di un bilaterale con Joe Biden a margine del G20 a Roma. Ci sono i margini per riallinearsi?

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