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Pechino ha lanciato un chiaro avvertimento a Bruxelles, dopo che il Parlamento europeo aveva passato una risoluzione per chiedere la costruzione di un accordo commerciale Ue-Taiwan. “Se le fondamenta non sono solide, la terra tremerà e i monti tremeranno”, ha dichiarato il ministro degli Esteri, Wang Yi, durate un incontro in video, in occasione dell’11/mo dialogo strategico bilaterale, con il capo della diplomazia europea, Josep Borrell. Wang ha ricordato che la “base politica per sviluppare relazioni con l’Ue e i suoi Stati membri” è il principio della “One China”, ossia la policy secondo cui viene riconosciuta l’esistenza della Repubblica popolare cinese e non della Repubblica di Cina; principio che per Pechino implica la necessità di procedere alla riunificazione dell’isola, considerata una provincia ribelle, che per il Partito/Stato dovrà essere riannessa con ogni mezzo, anche con la forza.

Borrell, citato in una nota dell’Unione Europea, ha affermato che l’Ue aderisce alla “politica dell’unica Cina stabilmente”, precisando però che “allo stesso tempo, l’Ue e i suoi Stati membri hanno interesse a sviluppare la cooperazione con Taiwan”. L’Alto rappresentante per l’Ue delle politiche Estere e di Sicurezza ha poi definito Taiwan “un importante partner economico nella regione e sulla stessa linea di pensiero, senza alcun riconoscimento dell’essere uno Stato”. Il punto è che la Cina sa che maggiore è il numero di accordi di vario genere che Taipei riesce a costruire sul piano internazionale, maggiore saranno le difficoltà cinesi per riannettarla.

L’Isola è un centro di tensione. Pechino soffre l’esistenza di un’altra Cina (sdoppiamento inaccettabile per il suo desiderio di potenza), che per altro è un esempio in tanti settori, da quello della tecnologia al modello sanitario che ha contenuto la diffusione del Covid. Gli Stati Uniti sfruttano questa debolezza per innervosire il Partito/Stato, toccando la sfera militare. Vedere le recenti richieste taiwanesi per un sistema missilistico a lungo raggio (implicitamente indirizzate agli Usa), o il recente passaggio lungo lo Stretto di Taiwan di una fregata inglese, a dimostrare attività operativa dell’Aukus. Per l’Europa, Taiwan è un paese con cui serve un rapporto commerciale concreto e definito — ma per farlo è impossibile scindere la questione dalla sfera politica.

Oltretutto se questi accordi commerciali con Taipei significano parziale decoupling dalla Cina. A Bruxelles serve prendere atto della complessità e delle articolazioni della materia. Come sta facendo per esempio l’India, che sta investendo per ospitare la nuova apertura di una fabbrica taiwanese di microchip — opera da 7,5 miliardi di dollari — e contemporaneamente sta trovando la via tecnica per ridurre i dazi sugli scambi di materiali semiconduttori (prodotto iper-moderni, forza di Taiwan). Nel frattempo Nuova Delhi ha accettato di alzare il livello del confronto politico con la Cina. All’avvio dei negoziati si somma per esempio l’annuncio di una nuova missione per la libertà di navigazione nel Mar Cinese, dove la Marina Indiana si muoverà integrata al Quad, l’alleanza con Usa, Giappone e Australia che per Washington deve essere parte della catena di contenimento dell’espansione di Pechino.

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