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Sarebbe riduttivo limitare il test elettorale odierno a questione semplicemente locale, senza alcun riflesso sulla politica nazionale e senza un valore indicativo forte per le forze politiche coinvolte. Vieta questo riduzionismo prima di tutto il fatto che ad essere coinvolte erano le più grandi città d’Italia, metropoli in cui il voto di opinione conta quanto e forse più di quello d’interesse. E lo vieta poi il fatto stesso che la volta scorsa erano state proprio le comunali, in particolare quelle di Roma e Torino, a preannunciare quanto sarebbe poi di lì a due anni accaduto a livello politico nazionale: cioè la prorompente avanzata di un movimento nuovo quale quello dei Cinque Stelle.

Il primo elemento da sottolineare ci sembra quello della bassa affluenza alle urne, la più bassa di tutti i tempi. Se ne deduce che c’è una forte delusione per i partiti attuali e una disaffezione per la politica. Un popolo ampio vaga senza rappresentanza, per dirla tutta. E o si astiene e non va a votare, oppure  vota per chi gli dà più sicurezza e speranza. Un popolo che mostra però anche di essere poi esigente e di togliere con facilità la fiducia accordata se alle promesse non seguono i fatti. Che è quello che è accaduto in questi ultimi anni ai Cinque Stelle, e in parte alla Lega, e prima, per dire, a Renzi.

La (per ora solo tendenziale) débacle della Lega (tutta da confermare dopo lo spoglio dei voti di lista) si inserisce in una più generale débacle del centrodestra, la cui sconfitta era stata in verità annunciata. Credo che poco o nulla c’entrino gli agguati mediatici degli ultimi giorni sui casi di Morisi e Fidanza. C’entrano piuttosto due elementi che sono venuti ad incrociarsi e che potrebbero anche essere l’uno la causa dell’altro. Mi riferisco, da una parte, ad una sorta di incapacità a cogliere fino in fondo da parte della destra il nuovo contesto seguito alla crisi pandemica, compresa la novità del governo Draghi e compreso un diverso (anche se non in modo radicale) atteggiamento dell’Unione europea nei nostri confronti; e, dall’altra, a una scelta dei candidati che non solo è stata tardiva, come ha ammesso Matteo Salvini, ma anche non all’altezza delle sfide che ci attendono e attendono le nostre città (ove ovviamente qui non si giudica la preparazione e moralità dei candidati). Come al solito, chi ha colto col suo intuito e innato senso politico il cuore del problema è stato il vecchio Cavaliere, particolarmente in forma ieri all’uscita del seggio. Importante però sarà, per capire lo “stato di salute” del centrodestra, vedere nelle prossime ore i voti di lista dei singoli partiti e la forbice fra i loro voti e quelli del candidato sindaco.

Che il Pd sia il vincitore di questa tornata elettorale, come pure si dice in queste ore, mi sembra affermazione un po’ azzardata. Più che altro il Pd ha tenuto non per meriti propri e comunque scegliendo negli ultimi giorni di campagna elettorale un profilo basso che ne ha mascherato le ambiguità e la distanza dal popolo reale. Chi sicuramente segna un punto a proprio favore è Enrico Letta, che (anche con il buon risultato di Siena) ha stabilizzato la propria posizione alla guida del Nazareno. Che poi il Pd riesca a costruirsi nei prossimi mesi un’identità e ad allargare il proprio consenso, traghettando a proprio favore l’inevitabile implosione del partito di Conte, è tutto da vedere.

Quanto al fantomatico centro, non credo che la indubbia affermazione di Carlo Calenda a Roma debba essere sovrastimata in questa direzione. Si è trattato piuttosto  di un voto dato soprattutto alla persona, alla sua visibilità pubblica, all’impressione che che trasmette di voler risolvere i problemi con pragmatismo ma senza approssimazione (come a destra) e ideologismi (come a sinistra). In questo momento, passato il tempo della protesta e dell’illusione, gli italiani delusi sembrano voler soprattutto questo dalla politica.

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Il primo elemento da sottolineare è quello della bassa affluenza alle urne, la più bassa di tutti i tempi. Al netto di questo dato, se la sconfitta della coalizione di centrodestra era in parte annunciata, non si può certo dire che quella di centrosinistra abbia vinto. L’analisi di Corrado Ocone

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