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Il paragone è azzardato anche se istintivo. Fatto sta che sul Corriere della Sera Francesco Verderami riporta tra virgolette alcune frasi di Dario Franceschini, ministro per i Beni culturali e capo delegazione del Partito democratico nel governo Draghi, che sarebbe ammaliato dall’idea di avvicinare la Lega al centro visto che, dice, sono troppi due partiti di destra che viaggiano intorno al 20% ciascuno. La Lega, dunque, potrebbe occupare in futuro uno spazio più ampio di quello che occupa Forza Italia in modo da diventare un “normale partito conservatore, a suo modo inserito nell’orbita del popolarismo europeo”.

Il paragone, azzardato e istintivo, è quello con i ragionamenti che a sinistra facevano all’inizio degli anni Settanta pensando alla Democrazia cristiana. La conclusione più clamorosa di quei ragionamenti fu il compromesso storico proposto da Enrico Berlinguer dopo il colpo di Stato in Cile del settembre 1973. Oggi, naturalmente, non si sta pensando a un accordo politico del genere quanto forse all’impossibilità di governare con una situazione “51-49”, come si diceva all’epoca: un governo con il 51%  dei voti avrebbe comunque dei problemi se avesse contro la metà dell’Italia.

Quel ragionamento, in realtà, era cominciato prima del golpe in Cile perché già nel congresso del Partito comunista italiano del marzo 1972, che avrebbe eletto Berlinguer alla segreteria, si temeva uno spostamento a destra della Dc. Erano anni di tensioni e di scontri di piazza e il Movimento sociale italiano dimostrava una forza che si concretizzò nelle elezioni del maggio di quell’anno quando raggiunse il suo massimo storico: 8,7% alla Camera e 9,2 al Senato. Una Dc tentata dal guardare a destra era il timore del Pci.

Cinquant’anni dopo la politica e la società italiane sono completamente cambiate e Franceschini le riassume così, secondo il Corriere: “Nella Prima Repubblica ci fu il conflitto tra Dc e Pci, nella Seconda lo scontro tra antiberlusconiani e anticomunisti, nella Terza tra europeisti e sovranisti”. In attesa di passare a una vera Seconda Repubblica dopo una riforma costituzionale, uno dei più autorevoli esponenti del Pd riconosce al partito di Matteo Salvini di essere forza di governo non solo per quanto si riesce a fare nell’attuale esecutivo, ma perché amministra da tempo Regioni e Comuni.

Franceschini allontana così anche le coalizioni del passato, dall’Ulivo all’Unione. Un tentativo di affrancarsi dalla sinistra estrema di Rifondazione comunista e dei Comunisti italiani lo fece Piero Fassino quando fu eletto segretario dei Ds nel novembre 2001 al congresso di Pesaro che paragonò a quello socialdemocratico tedesco di Bad Godesberg puntando alla “evoluzione politica” del partito. Il tentativo fallì e nel 2006 il governo di Romano Prodi, che vinse per un pelo su Silvio Berlusconi, durò solo due anni.

Il ministro dei Beni culturali pensa al domani, al dopo elezioni 2023, al cammino che pensa debba essere intrapreso dalla Lega e che “gioverà al percorso democratico”. A poco serviranno le eventuali reazioni a questa posizione perché non sappiamo come si assesterà il quadro politico. Per ora, il paragone è azzardato e istintivo, ma anche stimolante.

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Dario Franceschini, ministro per i Beni culturali e capo delegazione del Partito democratico nel governo Draghi, che sarebbe ammaliato dall’idea di avvicinare la Lega al centro. Il paragone, azzardato e istintivo, con i ragionamenti che a sinistra facevano all’inizio degli anni Settanta pensando alla Democrazia cristiana

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