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Sono passata vent’anni dal delitto di Cogne, un evento che è stato uno “spartiacque”.

Tutti ricordiamo Annamaria Franzoni, la mamma del piccolo Samuele. Tutti ricordiamo Cogne, il paesino nella neve e poi la folla dei giornalisti, le voci le ricostruzioni più fantasiose, i dibattiti.
Dopo, non siamo tornati più indietro. Non siamo stati più gli stessi. Con Cogne è cambiato il modo di fare giornalismo e televisione in Italia. Ma di più siamo cambiati noi. Come nelle tragedie greche, di fronte a certe storie di cronaca, si liberano affetti dirompenti, tra orrore e catarsi.

Era la prima volta che i programmi della tv generalista venivano invasi, con quella continuità e pervasività, di emozioni intime, selvagge ed esibite.

Altri flash: Franzoni intervistata Maurizio Costanzo, le parole dei vicini di casa usate negli atti giudiziari, il plastico della “villetta” a Porta a Porta, i commenti dei criminologi, le dichiarazioni del’avvocato Taormina in prima serata.

Come per la prima pinta di birra. Anzi come la prima dose di eroina. Quella prima volta non l’abbiamo potuta più dimenticare. È cominciata una dipendenza. Pesante. Ed è lì che pubblico e privato hanno cominciato a confondersi. Riflettori non più solo per la famiglia travolta dalle indagini, per la madre “sospetta”. Riflettori anche per chi quella tragedia la raccontava, i giornalisti. Riflettori per gli abitanti di Cogne, riflettori per i giornalisti e soprattutto per il pubblico degli studi televisivi. La vicina di casa è diventata opinionista, il postino è diventato una “fonte”: credibile grazie a quell’attenzione mediatica. E perché non anche io?

Ci identifichiamo con i vari protagonisti di una vicenda così scabrosa, perché la vita ha (anche) aspetti scabrosi. Tra la pietà e lo sdegno, l’angoscia e il trauma, si può installare la curiosità morbosa… Quello che è cambiato, da Cogne in poi, è stato il modo in cui queste reazioni le trattiamo, condividendole ma anche esibendole, amplificandole per diventare noi stessi “protagonisti”.

In questo senso, Cogne è il vero precursore dei social in Italia. Era la prima volta che cittadini di una tranquilla cittadina di montagna aprivano la porta alle telecamere e piangevano, insinuavano, raccontavano, sospettavano, poi magari finivano anche in uno studio televisivo: insomma si “denudavano” loro malgrado, per via della potente seduzione dei media. Così, mettendo in scena se stessi, ricevevano in premio un momento da protagonisti. Prima che i social lo rendessero endemico, i cittadini di Cogne sono stati i pazienti zero di questo virus: prima di cominciare a farlo sui nostri profili, abbiamo preso lezioni da loro per poi esibirci sui nostri profili.

Non sentirsi abbastanza “visti”, “centrali” e “unici” non sono forse la grande ferita dei giovani (e meno giovani di oggi)?

Perché Cogne è la madre dei social e dei reality

Sono passati vent’anni dal il 30 gennaio 2002, giorno in cui si consumò il delitto di Cogne. Un evento che ha cambiato l’informazione, ma non solo. È lì che pubblico e privato hanno cominciato a confondersi

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