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Stavolta è diverso. Non è la solita multa, restrizione, al limite lo sgambetto a una nuova Ipo, dopo quella sfumata per mano statale lo scorso autunno, valore 37 miliardi di dollari. Questa volta ad Alibaba verrà tolto dalle mani un pezzo del suo business e di quelli più pregiati: la piattaforma per i pagamenti online, Alipay. La guerra della Cina alla propria industria del fintech è a un punto di non ritorno. Dopo aver nei fatti spezzato il monopolio, indiscusso, di Jack Ma su e-commerce, pagamenti elettronici e prestiti online, adesso una controllata di Alibaba uscirà da un’orbita per entrare in un’altra, quella del governo cinese.

Evidentemente non sazio dopo 9 mesi di bombardamento a uno dei settori di punta dell’industria tecnologica cinese, ora fortemente ridimensionato e impoverito complice la fuga di massa di numerosi società fintech, che hanno spostato i loro capitali altrove, provocando un’emorragia di denaro e asset da 3 mila miliardi di dollari. E così, Ant, il braccio finanziario di Alibaba, dovrà mettere uno spin off imposto dal governo di Xi Jinping, cedendo di fatto il controllo della piattaforma Alipay e creando un’interfaccia apposita per la divisione del credito al consumo.

Al momento, infatti, Alipay è una super-app, ovvero un software dotato di diverse funzionalità concentrate in un’unica applicazione. Tra i servizi più utilizzati ci sono Huabei, una credit card virtuale, e Jiebei, specializzata nel credito al consumo, che nel primo semestre 2020 hanno rappresentato il 39% dei ricavi di Ant Group. Per Pechino è tempo di separare queste funzionalità in due entità specifiche e far entrare nel capitale nuovi azionisti, in due differenti società. Non è tutto.
Come riportato dal Financial Times, le autorità cinesi hanno ribadito che Ant non potrà più utilizzare i dati di proprietà per valutare la solvibilità dei clienti. Per quanto riguarda lo schema del riassetto, Alipay vedrà l’ingresso nell’azionariato di soci governativi mentre la nuova società, una newco, sarà partecipata sia dalla stessa Alipay sia dai medesimi azionisti statali. Grazie a questo schema incrociato, Pechino avrà modo di dire la sua nella politica di gestione dei dati. Inevitabili le ripercussioni in Borsa, dove questa mattina il titolo di Alibaba ha perso il 4% in pochi minuti, sulla scia delle indiscrezioni del quotidiano britannico.
Ma la rottura dei monopoli non è affare solo della Cina. In realtà, seppur con mezzi, tempi e modi profondamente diversi, anche gli Stati Uniti stanno piano piano tentando di scalfire il regno di Amazon&co. All’inizio della scorsa estate, il procuratore generale di Washington Dc ha presentato ricorso contro il colosso dell’e-commerce accusandolo di illecite pratiche monopolistiche, realizzate con accordi capestro sui prezzi ai danni di consumatori, concorrenza e innovazione. Il colosso di Jeff Bezos avrebbe mantenuto il suo monopolio attraverso contratti sui prezzi imposti alle aziende venditrici che vietano a queste ultime di offrire prodotti a prezzi inferiori su siti che non siano Amazon, compresi quelli delle aziende stesse.
Non a caso sta avvenendo l’impensabile: miliardari americani che sognano un approccio dirigista alla cinese per i giganti a stelle e strisce. Come Charlie Munger, vicepresidente della Berkshire Hathaway di Warren Buffett, che ha elogiato Pechino per aver messo a tacere Jack Ma. E la sua Alibaba.

La Cina fa a pezzi Alibaba e sfila Alipay a Jack Ma

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