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Dopo le rovine, il banchetto. Mentre gli ultimi aerei cargo americani fanno la spola con Kabul per portare via quante più persone possibili, Cina e Russia si siedono al tavolo per brindare e muovere le loro pedine.

Il caos che accompagna la nascita dell’Emirato islamico dei talebani non è necessariamente una buona notizia per Mosca e Pechino nel lungo termine, perché porta con sé molte incognite, dal rigoglio di terrorismo islamista a una nuova crisi migratoria al confine. E però non è un caso se Vladimir Putin e Xi Jinping “gioiscano per l’umiliazione americana”, dice a Formiche.net Edward Lucas, vicepresidente del Cepa (Center for European policy analysis), firma di lungo corso del Times e dell’Economist.

Quell’impegno a mantenere “una comunicazione tempestiva sulle principali questioni bilaterali e multilaterali” pronunciato in una telefonata fra i due leader mercoledì pomeriggio è preludio di un riassetto strategico nell’Asia centrale, spiega.

Certo, gli interessi non sono sempre convergenti. “La Cina cercherà di crearsi un corridoio sicuro verso l’Asia sud-occidentale, a ridosso di India, Pakistan e delle nazioni del Golfo. Ha grandi interessi economici e strategici in ballo, non ultima la possibilità di mettere le mani sul gas iraniano”. Per la Russia invece, dice Lucas, “la priorità è la sicurezza, ovvero assicurarsi di non ripetere le vecchie esperienze con il terrorismo islamista”.

C’è tuttavia una linea che accomuna i contatti sempre più frenetici fra le feluche russe e cinesi con i talebani calati su Kabul, e cioè “l’ambizione di dar forma a un mondo in cui Cina e Russia, non gli Stati Uniti e un’impotente Europa, dettano le regole del gioco”. Un disegno che riaffiorerà in occasione del G20 a guida italiana, la prima kermesse veramente globale ad occuparsi di Afghanistan.

Gli sforzi di mediazione di Italia, Francia e Germania sono una scommessa rischiosa, ma non necessariamente perdente. Purché i pontieri non si spingano a dare in mano a due rivali sistemici come Cina e Russia le chiavi della ricostruzione afgana. “Il G20 si deve limitare a pochi, semplici obiettivi. Contrattare con i talebani: un limitato riconoscimento internazionale e l’accesso ai fondi in cambio di garanzie sull’evacuazione dei collaboratori e dei profughi afgani e il contenimento della violenza. Non è un buon accordo, ma è l’unico che si possa fare”. “Più il fronte occidentale resterà compatto, più saranno le chance di ottenere quello che vogliamo – riprende – Non sarà facile, perché dobbiamo fare i conti con una crisi di sfiducia verso Washington che potrebbe trascinarsi per mesi”.

Il conto di questa sfiducia rischia di essere pagato altrove. Non a Kabul, ma in Lituania, in Crimea, a Taiwan, a Hong Kong. Trasformandosi in un involontario “via libera” alle autocrazie per sondare, testare e valicare le linee rosse tracciate dagli americani. “Sono fiducioso che questo non accadrà – riflette la firma del Times – finora gli Stati Uniti si sono mossi per arginare i danni, ma sono pronti ad azioni muscolari per difendere Taiwan, la Lituania e gli altri alleati a rischio. Cercheranno di inviare un messaggio alla Nato e ai partner asiatici: l’Afghanistan è stata un’eccezione, e non dovrà ripetersi”.

Vi spiego i brindisi afgani fra Xi e Putin. Parla Lucas

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