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Era già tutto scritto, ovviamente, forse persino nei dettagli, come dire, numismatici. Dunque è solo il dovere di cronaca che ci fa registrare la notizia del divorzio tra la piattaforma casaleggiana e il Movimento Cinque Stelle. Tuttavia alcune domande restano e si conficcano come pietre taglienti nel già accidentato cammino della politica italiana, che mai registrò nel malmostoso mondo dei partiti tanti stress, cesure e conati fusionali, come con l’avvento di Draghi.

Credo non occorra maneggiare professionalmente gli arcani delle divinazioni per prevedere che dal ceppo originario della comunità pentastellata si biforcheranno almeno due formazioni: una, per così dire, filo-governativa e un’altra antagonista. Sul fronte antagonista, che vorrà evocare lo spirito animale delle origini, è più facile: basterà riprendere apriscatole parlamentari e attingere ai brani del vangelo quotidianamente ammanniti da Marco Travaglio e il gioco è fatto.

Sul fronte governativo la faccenda appare un po’ più complicata. Anche qui si apre una biforcazione con due itinerari: uno ha la gittata della legislatura (scadenza primavera 2023). L’altro si pone il problema della continuità e delle nuove elezioni politiche. Nel medio-breve (fino al 23) si tratta di reggere botta nel liquido amniotico draghiano che si effonde su tutti i suoi sostenitori come un nutrimento immunizzante e, al tempo stesso, una specie di acqua di Lete, non la minerale in bottiglia, ma quella mitologica che portava all’oblio. Nel tempo medio-lungo, invece, si può citare Vasco Rossi alla ricerca di un senso.

Che farà la parte (maggioritaria) dei parlamentari filogovernativi dei Cinque Stelle per raccontare agli italiani la sua indispensabilità? E a quale popolo volgerà la sua proposta? Questo è il punto fondamentale su cui il gruppo dirigente dovrà riflettere attentamente. Conte sembra muoversi nella toponomastica del centro-sinistra, non rinunciando a qualche eco del passato giustizialista ed altre sollecitazioni che si presume possano sommuovere il cuore dei militanti. Anche la scelta di campo in termini di alleanze disegna un percorso teorico (sul pratico sembrerebbe più complicato) chiaramente incardinato nel quadrante delle alleanze a sinistra.

Sul piano dello spazio vitale bisognerà osservare che a sinistra il Pd c’è già, certamente non in forma smagliantissima, e spesso costretto a ripetere le giaculatorie del politicamente corretto per farsi forza, ma con una rendita di posizione storica. E allora a quale popolo si rivolgerebbe il nuovo M5S? Agli antagonisti non più, alla sinistra, nella versione light e hard, neanche, perché il campo è preso dal Pd. E allora a chi? Per il momento questa scelta non si vede nei punti programmatici lanciati da Conte, che fanno riferimento a valori sottoscrivibili da tutti (“lotta alle disuguaglianze socio-economiche e alla precarietà; vicinanza ai bisogni dei giovani, delle famiglie e delle imprese; l’impegno per un futuro eco-sostenibile, per l’etica pubblica e per rafforzare la legalità contro tutte le mafie”).

Più netto è apparso Di Maio con la presa di posizione antigiustizialista, e con uno stile che sembra guardare a un’area elettorale sociologicamente adiacente alla piccola e media borghesia. Insomma: qualcosa che somiglia a un centro. Staremo a vedere cosa accadrà anche con le annunciate nuove procedure di democrazia interna che dovrebbero portare ad affermare la nuova leadership entro la fine del mese. Argomento interessante e nuovo per il soggetto politico cresciuto coltivando il mito dell’agorà telematica.

Phisikk du role - Divorzio Casaleggio-M5S: dov’è la notizia?

Il divorzio tra Casaleggio e il Movimento era già scritto, e non occorre maneggiare professionalmente gli arcani delle divinazioni per prevedere che dal ceppo originario della comunità pentastellata si biforcheranno almeno due formazioni: una, per così dire, filo-governativa e un’altra antagonista. Ma come si evolveranno? La rubrica di Pino Pisicchio

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