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Gli Stati Uniti hanno dichiarato di aver effettuato, nelle prime ore dell’alba di lunedi 28 giugno, un altro round di attacchi aerei contro la Kataib Sayyed al-Shuhada e la Kataib Hezbollah, due milizie irachene appoggiate dalle Sepāh iraniane. Il raid, effettuato con F-15 e F16 decollati dalle basi americane nel Golfo Perisco, è avvenuto al confine tra Iraq e Siria, ha centrato tre “obiettivi operativi” (centri di stoccaggio di armamenti) e sarebbe da ricollegare a recenti attacchi contro il personale e le strutture statunitensi in Iraq.

Uno in particolare, sabato 26 giugno: tre missili lanciati da un piccolo drone (del tutto simile a quelli di fabbricazione iraniana) hanno colpito l’area di una base a Erbil, nel Kurdistan iracheno, che viene usata da centro di comando della Coalizione internazionale che combatte lo Stato islamico (nel compound ci sono anche militari italiani che forniscono addestramento ai Peshmerga secondo i comandi della missione “Prima Parthica”). Non è la prima volta che le basi occidentali in Iraq vengono prese di mira, è una fonte della sicurezza irachena conferma a Formiche.net che gli americani sono preoccupati dell’uso da parte delle milizie sciite di armi sempre più sofisticate come questi nuovi droni.

Nelle ultime ore la sicurezza attorno all’ambasciata statunitense è stata rafforzata, ci spiega la fonte in modo riservato, perché si temono attacchi nella Green Zone di Baghdad. Anche questo era già successo a fine 2019: sotto forma di proteste popolari, le milizie avevano fatto in modo che migliaia di manifestanti accerchiassero la sede diplomatica americana. La tensione era molto alta:  di lì a pochi giorni un raid avrebbe eliminato Qassem Soleimani, capo della Quds Force delle Sepāh e considerato l’ideatore della strategia regionale con cui i Pasdaran hanno pianificato l’espansione regionale attraverso proxy controllati ideologicamente, economicamente e militarmente.

La realtà attualmente è che in Iraq come in Libano (Hezbollah) queste milizie, anche per il peso ottenuto in questi sette anni di lotta all’Is, si sono rafforzate. E consapevoli di maggiore capacità di azione hanno iniziato a muoversi in modo più indipendente. Detestano l’Occidente e la presenza di militari stranieri nel proprio paese, e sanno che da questo background ideologico possono ottenere ritorni in termini di proselitismo e controllo del territorio. Ossia sanno che mantenendo un ingaggio continuo contro gli occidentali possono mantenersi vive trasformando la narrazione in opportunità economiche. Amministrano il loro potere come h a mafia.

I fatti si sono ripetuti di nuovo in questi giorni: attacchi delle milizie, reazione statunitense. Gli americani hanno segnato dei limiti: il lancio di razzi più rudimentali contro il compound dell’ambasciata è quasi tollerato (i danni sono sempre minimi), quelli contro le basi militari molto meno. Soprattutto se le armi usate sono nuove. Dopo l’attacco di domenica, la giornata di lunedì 28 giugno è stata turbolenta. La milizia fantasma Saraya Awliya al-Dam (i Guardiani del sangue, gruppo praticamente sconosciuto fino a febbraio, quando rivendicò l’attacco alla base Erbil), minaccia di abbattere un aereo della Coalizione. La Kataib Hezbollah e la Kataib Seyyid Al Shuhada, che probabilmente è l’organizzazione madrina dei guardiani sanguinari, minacciano altre azioni.

Sempre lunedì, nella serata, le forze americane della Coalizione anti-Is sono state attaccate in un’area della Siria: Marines e Delta Force della missione Inherent Resolve sono finiti sotto i razzi delle milizie sciite nei pressi di Deir Ezzor, al campo pozzi Omar che gli Usa proteggono, e secondo un comunicato ufficiale ha risposto al fuoco con l’artiglieria. Quei soldati americani si trovano lì per dare la caccia alle spurie del Califfato, rifugiati nell’area (lasca) di confine siro-iracheno. Anni fa i miliziani delle Forze di mobilitazione popolare irachena — il grande ombrello politico creato per rendere potabili le milizie a Baghdad — lavoravano secondo un coordinamento informale con gli americani e la Colazione, ma era un allineamento di utilità. Ora che la guerra ai baghdadisti è più gestibile alcune sono passate a compiere operazioni di disturbo contro gli occidentali; altre vorrebbero mantenere una linea più istituzionale abbandonare la resistenza armata. Dicotomia che segna divisioni interne.

Per quello che Formiche.net ha registrato, tra i due bombardamenti più importanti a Erbil (16 febbraio e 27 giugno) ci sono stati: il 4 marzo, a Baghdad e Erbil; il 14 aprile all’aeroporto di Baghdad (dove c’è un compound che ospita forze occidentali); l’8 maggio alla base Al Assad; l’11 maggio a Erbil; il 6 giugno ne è stato sventato uno alla base Al Assad; il 9 giugno all’aeroporto di Baghdad; il 10 giugno alla base aerea di Balad; il 15 giugno ancora all’aeroporto di Baghdad; il 20 giugno ancora Al Assad. Una sequenza continua da cui l’Italia non può non essere interessata visto che è presente sul territorio iracheno e tra poco tempo potrebbe aumentare il proprio coinvolgimento prendendo il comando della missione anti-Is della Nato NMI.

L’amministrazione Biden aveva ordinato già una volta l’uso della forza, a febbraio. In entrambe le occasioni il Pentagono ha comunicato che l’ordine era stato impartito direttamente dallo Studio Ovale. Messaggio chiaro che sta a significare che il presidente Joe Biden, un democratico considerato aperto al negoziato con l’Iran, non intende accettare il superamento di linee rosse. Lo scambio di colpi in Iraq e Siria arriva appena una settimana dopo l’elezione a Teheran di un candidato conservatore, Ebrahim Raisi, e mentre i contatti sulla ricomposizione dell’accordo sul nucleare iraniano Jcpoa procedono. “Certamente ciò che gli Stati Uniti stanno facendo è interrompere la sicurezza nella regione, e una delle vittime di questo disturbo saranno gli Stati Uniti”, ha detto lunedì il portavoce del ministero degli Esteri iraniano.

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Di Massimiliano Boccolini e Emanuele Rossi

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