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“Questo è l’ultimo dei problemi che ha”. Non saranno le sbandate filocinesi o filorusse della sua maggioranza a far franare il governo Draghi, dice Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano. “Avete presente i tempi degli incontri al Metropol e degli abbracci ai gilet gialli? Ecco, per fortuna sono passati”.

Sarà, ma il governissimo sembra un’orchestra stonata. Draghi a Bruxelles insieme a Joe Biden, Grillo all’ambasciata cinese a tirare strali contro gli Stati Uniti.

Grillo può fare quel che vuole, ormai ha esaurito la sua funzione nella storia del Movimento abbandonando Casaleggio. È un violino che va per fatti suoi.

A quell’incontro doveva partecipare anche il capo-in-pectore Giuseppe Conte.

Ma ha dato forfait all’ultimo, tutti hanno diritto a cambiare idea. Sono convinto che Conte si riallineerà, non ha pregiudiziali anti-occidentali o particolari passioni filocinesi. Ai tempi del memorandum per la Via della Seta si era mosso con opportunismo, vero. Non dimentichiamo però che quel posizionamento bizzarro dell’Italia portava anche la firma della Lega. Oggi assistiamo a un percorso d’uscita, con il contributo fondamentale di Luigi Di Maio, per abbandoonare certe convinzioni naif tipiche del primo grillismo.

Insomma, la politica estera non farà saltare il tavolo.

No, ci vuole ben altro. In Italia le sbandate non possono uscire più di tanto da due argini, atlantismo ed europeismo. Perfino Salvini ha accettato la dimensione europea. Quanto alle simpatie cinesi, più della classe politica bisognerebbe preoccuparsi di chi con la Cina fa i soldi, cioè una buona fetta della nostra classe imprenditoriale.

Perché da quegli argini non si esce?

Guardi, non serve tanta retorica, è una semplice questione di numeri. Ricordiamo tutti i grandi ululati di Salvini e Di Maio, due anni fa, contro le sanzioni europee alla Russia, ventilando fantomatici danni irreparabili al nostro export di tortellini. Ecco, oggi, con la chiusura della disputa fra Boeing ed Airbus che rende immediatamente esecutiva la sospensione dei dazi, l’Italia guadagna uno spazio di mercato immensamente più grande di quello perso a Mosca.

Un post sul blog di Beppe Grillo ha definito il summit Nato dove è andato Draghi una “parata ideologica”. Così non si mettono i bastoni fra le ruote al premier?

A Bruxelles come a Carbis Bay Draghi ha rappresentato l’Italia, né più né meno di altri premier. Non basta un post di Grillo a sabotare l’operazione. Ci sono precedenti più rilevanti. Penso al pacifismo peloso di una parte del mondo cattolico durante la prima guerra in Iraq. Penso alle foto con i gilet gialli, a un ministro dell’Interno che usava un’insinuazione di omosessualità per accusare Macron. Lo sa che c’è ancora un partito sotto inchiesta con l’accusa di aver ricevuto fondi dal governo russo?

Ora che tutti, dal Movimento a Fratelli d’Italia, sono establishment, che se ne fanno della politica italiana due outsider come Cina e Russia?

Tenteranno di nuovo una captatio benevolentiae. Ripeto, se i Cinque Stelle sono naif, la Lega è ancora sotto inchiesta per i presunti fondi del Metropol. Resta sullo sfondo una consapevolezza: la politica estera italiana, in Europa e nel mondo, ha un peso molto relativo. Un grande interprete non fa un grande teatro, Draghi da solo non basta.

Draghi che al G7 e al summit Nato ha ribadito l’atlantismo del Paese. Non c’è il rischio di concentrarsi troppo sulla retorica mentre altri Paesi europei, come la Francia, sorpassano l’Italia nei rapporti con Biden?

Nonostante agli italiani piaccia molto ingaggiare gare con i cugini d’Oltralpe, lascerei perdere i sorpassi. La Francia è una grande potenza nucleare, è avanti a noi in qualunque campo della politica internazionale, noi siamo usciti sconfitti dalla Seconda guerra mondiale con Mussolini e Hitler alleati. C’è ancora da sorprendersi? Le dirò di più.

Prego.

Con la Francia di Macron, per fortuna, abbiamo ritrovato un ottimo interlocutore. Adesso Parigi guarda a Roma con un occhio di riguardo, complice il grande vuoto che rischia di aprirsi in Germania per il dopo-Merkel.

Draghi è considerato un pragmatico. In politica estera, nei rapporti con gli Stati Uniti che vuol dire?

Il pragmatismo di Draghi deriva semplicemente dalla sua esperienza da banchiere centrale e non da politico. Ha un modo di guardare alla politica internazionale che ha poco a che vedere con l’aura retorica di Biden. In comune però hanno due direttive fisse della diplomazia: principi e interessi. Basta cinismo, basta affarucci sotto banco e furberie sul copione de “I magliari” di Alberto Sordi che hanno reso tristemente famosa l’Italia all’estero. Non è poco.

Draghi, Dragoni e Grilli. Le pagelle di Parsi alla politica estera italiana

Non bastano le sbandate filocinesi di Beppe Grillo (e quelle filorusse della Lega) a terremotare il governo Draghi, dice Vittorio Emanuele Parsi, professore di Relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano. Asse con la Francia fondamentale, ora vediamo il pragmatismo in azione con gli Usa

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