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Le parole che dobbiamo tenere a mente per i prossimi dieci anni sono “Reimagine. Recreate. Restore.” Ce lo ricordano le Nazioni Unite nella Giornata Mondiale dell’Ambiente di quest’anno, con la quale si inaugura il “Decennio del ripristino degli ecosistemi”. Istituita nel 1974, si celebra ogni 5 di giugno con lo scopo di sensibilizzare tutti gli abitanti del pianeta, governi, aziende, cittadini, verso la tutela dell’ambiente. Quest’anno viene sollecitata un’azione urgente per far rivivere i nostri ecosistemi danneggiati.

Gli uomini, viene ricordato, stanno distruggendo le fondamenta della propria sopravvivenza a un ritmo allarmante: “più di 4 milioni 700 mila ettari di foreste (pari a un’area più grande della Danimarca) vengono persi ogni anno”. Questa perdita sta privando il mondo di pezzi importanti di assorbimento del carbonio, mentre “le emissioni globali di gas serra sono cresciute per tre anni consecutivi e il pianeta è sulla strada di un cambiamento climatico potenzialmente catastrofico”. E ancora “riducendo l’habitat naturale per la fauna selvatica abbiamo creato le condizioni per il diffondersi di agenti patogeni, compresi i coronavirus”.

In questo contesto di crisi ambientale, il decennio di ripristino dell’ecosistema, voluto dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 6 marzo 2019, diventa “un’opportunità per ristabilire il mondo naturale che ci sostiene”. Secondo gli scienziati i prossimi dieci anni saranno determinanti nella lotta per prevenire il cambiamento climatico e la perdita di milioni di specie. Dieci le azioni strategiche proposte.

“Dare forza a un movimento globale” per invertire la distruzione e il degrado di miliardi di ettari di ecosistemi. Compito complicato data la grande diversità delle condizioni locali e le minacce da affrontare, “dalle foreste minacciate dai minatori e incendi ai terreni agricoli erosi”.

Occorre “collegare e rafforzare le azioni”, così che gruppi e singoli possano conoscere le opportunità di restauro della loro zona. “Risanamento finanziario del territorio”: il restauro richiede risorse; sono necessari investimenti iniziali dell’ordine di miliardi. I governi, i finanziatori internazionali, le agenzie di sviluppo e le aziende private dovranno aumentare il loro sostegno.

“Stabilire i giusti incentivi”. Il restauro fa bene al pianeta e fa bene alle persone. Prendersi cura della natura può anche significare dover rinunciare a guadagni derivanti da pratiche meno sostenibili; ma a lungo termine ecosistemi più sani producono raccolti più elevati, redditi più sicuri e un ambiente più sano per le persone. “Celebrare la leadership” facendo conoscere quelle che molti Paesi stanno facendo per riportare in vita 350 milioni di ettari di paesaggio forestale o quanto hanno fatto per generazioni i popoli indigeni per difendere i loro habitat.

“Modificare i comportamenti”. La deforestazione, l’esaurimento del patrimonio ittico, il degrado dei terreni agricoli sono tutti causati da modelli di consumo alimentare globali. Occorre cambiare questi modelli per un consumo più sostenibile e la promozione di prodotti favorevoli all’ambiente. “Investire nella ricerca”, perché il restauro è complesso e la conoscenza scientifica è ancora in via di sviluppo. Sono necessari investimenti considerevoli per identificare le migliori pratiche per “riparare” il nostro pianeta.

“Sviluppare capacità”, soprattutto in quei gruppi che perdono di più per la distruzione dei loro ecosistemi, come le popolazioni indigene, le donne e i giovani, per incoraggiare un ruolo sempre più attivo elle iniziative di conservazione e ripristino. “Celebrare una cultura del restauro”, passando dal saccheggio del pianeta alla sua cura: una sfida culturale che non riguarda solo governi e scienziati. La strategia si rivolge direttamente agli artisti, scrittori, produttori, musicisti perché facciano parte della Generation Restoration.

“Costruire le prossime generazioni”, perché sono i giovani e le future generazioni ad essere le più colpite dalla distruzione degli ecosistemi. Ma saranno anche quelli che trarranno i maggiori vantaggi dalla creazione di posti di lavoro basati sull’economia sostenibile del restauro.

Si pone sulla stessa lunghezza d’onda l’installazione, in occasione della Giornata dell’Ambiente, dell’ “Orologio del clima” nella sede del Ministero della Transizione Ecologica, presenti il Ministro Roberto Cingolani e l’Amministratore delegato del GSE Roberto Moneta. Il grande orologio, secondo gli scienziati, indica in poco meno di sette anni il tempo utile per adattare comportamenti e interventi che limitino a un grado e mezzo l’aumento della temperatura del pianeta.

Nato sulla scia della campagna internazionale inaugurata nel 2020 dagli artisti Gan Golan e Andrew Boyd con il Climate Clock installato in Union Square a Manhattan, l’orologio italiano indicherà anche la percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili nel mondo.

“Nei prossimi mesi di attendono sfide fondamentali – ha detto il Ministro Cingolani – dal G20 Ambiente fino alla COP26 sul clima a Glasgow. L’orologio del clima che inauguriamo sulla facciata del MiTE da oggi dialoga in contemporanea con quello già installato a Glasgow. Il tempo che questi orologi indicano è il tempo che abbiamo per agire. La transizione ecologica è lo strumento principale per spostare queste lancette e liberarci dei rischi a cui ci espongono i cambiamenti climatici”.

L’installazione ha, tra l’altro, l’obiettivo di sensibilizzare le coscienze dei cittadini in modo che tutti possano sentirsi parte di un percorso che condurrà ad un futuro a basse emissioni di carbonio. Collocato all’ingresso della sede del Ministero di via Cristoforo Colombo, l’orologio del clima rientra nelle numerose iniziative di avvicinamento alla Conferenza sui cambiamenti climatici (COP 26) che si terrà a Glasgow, in Scozia, dall’1 al 12 novembre 2021.

Inizia il decennio in cui ricostruire gli ecosistemi

Oggi è la Giornata mondiale dell’ambiente, e quest’anno le parole d’ordine delle Nazioni Unite sono “ripensare, ricreare, ripristinare”, con l’obiettivo di ristabilire il mondo naturale che ci sostiene

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