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Da ormai oltre un anno la pandemia è stata presentata all’opinione pubblica e da questa vissuta come una emergenza, e come tale affrontata dal governo.

Essa, invece, ha superato il ridotto lasso di tempo entro il quale un qualsiasi accidente naturale può essere considerato emergenziale, per divenire una situazione di grave pericolo, ma ordinaria. In altri termini, per rimanere in argomento, la pandemia da acuta è divenuta cronica, e con essa dovremo convivere per un periodo di tempo al momento non prevedibile.

A questa conclusione si giunge leggendo correttamente i segnali provenienti dall’evolversi del fenomeno.
La pandemia si è diffusa praticamente in tutto il mondo e ciò influenza negativamente le aspettative dei Paesi europei di risolvere la questione con la sola immunità di gregge, dato che viviamo in un mondo globalizzato ove è impossibile erigere cordoni sanitari impenetrabili. Il mondo occidentale, Italia compresa, dovrà quindi porsi il problema di occuparsi anche degli altri territori, non solo per un dovere morale, ma anche per una questione di pura autodifesa. Se non si blocca l’epidemia nel terzo mondo il virus continuerà a circolare e, soprattutto, a mutare. Infatti, sia per la sua natura, sia per la diffusione così ampia, esso ha manifestato una alta propensione alla variazione, sicché non vi è certezza sulla efficacia anche nei confronti delle varianti dei vaccini sin qui elaborati, che potrebbero risultare obsoleti. Non sarebbe più possibile contenere le varianti non ostante la immunità di gregge conquistata nei confronti del virus come oggi conosciuto.

Inoltre, anche a causa della doverosa fretta con cui i vaccini sono stati concepiti e testati, non vi sono certezze scientifiche circa la durata della immunità vaccinale.

Dobbiamo ancora aggiungere che, secondo gli epidemiologi, per raggiungere l’immunità di gregge, sono necessarie percentuali di vaccinazione reali maggiori di quelle di cui sino ad oggi si è parlato (90-95% invece che 70%) a causa della maggiore contagiosità delle nuove varianti e del calcolo circa la efficacia non al 100% del vaccino (vedi l’audizione del presidente della Accademia dei Lincei, prof. Parisi al Senato il 9 marzo 2021). Potrebbero esservi quindi problemi per raggiungere percentuali così elevate prima che si esaurisca il ciclo della immunità vaccinale, con il rischio di una ripresa ciclica della diffusione. Potrebbe quindi passare molto tempo prima che il Covid diventi un virus per così dire “normale” come quelli dell’influenza con i quali conviviamo da molti decenni.

In pratica i segnali sono nel senso che la vaccinazione di massa potrebbe dovere essere ripetuta a breve o medio tempo, e accompagnarci per anni.

Ciononostante, essa e l’immunità di gregge conseguente, sono un imperativo categorico che però necessita di essere accompagnato da una gestione quotidiana del fenomeno del contagio in sé considerato come contesto ineliminabile della realtà, e pertanto affrontato non con l’ottica emergenziale sin qui adottata, ma di sistema.

Consegue da ciò la necessità di assumere iniziative proattive nei confronti del virus e non meramente passive e difensive, come sono sostanzialmente quelle rappresentate dalle varie chiusure, impedimenti alla circolazione ecc. Tali mezzi perseguono un obbiettivo strategico condivisibile (diminuire i contatti) ma muovono da un assioma razionalmente errato costituito dalla individuazione della causa del contagio nel contatto sociale in quanto tale.

In realtà, come ci confermano gli scienziati, la causa del contagio è la trasmissione fisica del virus attraverso l’aerosol umano nel parlare respirare ecc. e, in misura minore, attraverso il contatto con superfici infettate. Il contatto sociale, quindi, non è la causa del contagio, ma l’occasione, non la sostanza del fenomeno, ma un suo accidente. La riduzione dei contatti sociali, che non potrà mai giungere sino al loro azzeramento, sia pure in concomitanza con la campagna vaccinale, dati i limiti di questa già segnalati, non potrà condurre alla eradicazione del virus, anche senza considerare i danni irreparabili che tali misure arrecano alla società sotto i profili sia economico, sia psicologico, sia pedagogico.

Non è seriamente concepibile che questa situazione di chiusure e aperture cicliche possa perpetuarsi per tutto il periodo imprecisato che ci separa dalla uscita dal tunnel, potenzialmente per anni. È questa una logica emergenziale, cioè come se il fenomeno fosse ancora imprevisto, improvviso e ci trovasse ignari e impreparati, ed essa è chiaramente insufficiente dinanzi alla dimostrata cronicizzazione del fenomeno che richiede misure sistematiche.
Impedire o diminuire i contatti sociali, non è la stessa cosa che impedire o diminuire stabilmente la trasmissione del virus. Il contagio va dunque combattuto in sé, come fenomeno fisico per aggredirlo nella sua mobilità e nella stessa sopravvivenza del virus.

In un recente documento del think tank Lettera 150 sono stati indicati 10 interventi sistematici per affrontare le problematiche sopra segnalate. Essi spaziano da nuove strategie vaccinali e di tracciamento, al rilancio, rafforzamento, coordinamento della medicina sul territorio e all’istituzione dei Covid Hotel, dalla strategia per fronteggiare la carenza internazionale di vaccini e i giochi geopolitici ad essa legati, alla necessità del tracciamento genomico delle varianti del Covid-19, dall’uso degli anticorpi monoclonali in terapia ospedaliera e/o domiciliare assistita, infine all’applicazione diffusa di sistemi di telemedicina nella assistenza domiciliare. Ma in coerenza con quanto analizzato nella prima parte di questo intervento, giova segnalare alcune misure proattive da parte dello Stato che appare indispensabile adottare proprio nell’ottica di aggredire direttamente la trasmissione del virus.

In primo luogo è necessario perfezionare e rafforzare gli strumenti individuali di protezione. Passando all’uso obbligatorio delle mascherine FFP2, e non semplicemente le chirurgiche o quelle di comunità meno filtranti, al contempo verificando la conformità di quelle introdotte in Italia, attraverso la certificazione affidata alle Università, e attivando procedure di controllo della loro produzione.

Semplicemente elementare la necessità della dispensabilità gratuita a carico del Ssn coordinata con la distribuzione da parte degli uffici pubblici e delle scuole ai propri dipendenti e alunni.

Necessario, inoltre, introdurre misure collettive di protezione attraverso la sanificazione degli ambienti pubblici, scuole, uffici, mezzi di straporto, esercizi commerciali ecc., con opportune apparecchiature già esistenti in commercio (in particolare mediante UV) e con protocolli periodici di sanificazione, anche nella medesima giornata.
Gli studi del prof. Cesare Saccani, dell’Università di Bologna in merito al comportamento degli aerosol umani in ambienti chiusi, hanno infatti dimostrato che la permanenza nell’aria dell’aerosol vettore è influenzata dalle condizioni ambientali di umidità, presenza di correnti d’aria, grandezza della nebulizzazione etc., sulle quali è possibile intervenire con opportuni strumenti di aereazione e con il ricambio e la circolazione dell’aria opportunamente condizionati negli ambienti chiusi per impedire la circolazione del virus. Sarà quindi necessaria la revisione anche degli impianti di aereazioni di scuole ed uffici, al limite anche dei semplici infissi.

La riapertura delle scuole in presenza è una priorità derivante dall’evitare danni psicopedagogici irreversibili alla popolazione scolastica. Essa deve avvenire in totale sicurezza, e pertanto devono essere approntate negli edifici scolastici le misure collettive di protezione sopra analizzate, ma si deve intervenire anche sugli indici di affollamento.
In altri termini, occorre ampliare la disponibilità di aule per diminuire il numero di alunni per classe- Le politiche di spending review degli ultimi anni hanno indotto una aumento di alunni per classe con contestuale liberazione di aule in molti istituti. Utilizzando tali aule e, al bisogno, anche immobili demaniali inutilizzati o procedendo con requisizioni d’urgenza di immobili privati, con indennizzo, si deve dimezzare il numero attuale di alunni per classe. Conseguentemente, occorre assumere a tempo determinato docenti, anche richiamando, se necessario, quelli andati in pensione negli ultimi cinque anni.

Il sistema dei trasporti è complementare sia al sistema del lavoro sia a quello scolastico, garantendo esso la mobilità. Occorre quindi adottare misure per una riduzione del rischio, secondo due direttrici.

Innanzitutto approntare strumenti e protocolli di sanificazione dei mezzi durante tutto l’arco del loro utilizzo, ad esempio ad ogni fine corsa al capolinea, con strumenti automatici già adottati dalle compagnie di car sharing.
In secondo luogo, ampliare i mezzi disponibili, per diminuire l’indice di affollamento, acquistando con le procedure d’urgenza di cui all’art. 63 del Codice dei contratti nuovi mezzi. Medio tempore utilizzando i mezzi delle FFAA, e concludendo accordi con le società di trasporto turistico, o al bisogno requisendo con indennizzo i pullman privati. Ciò potrebbe comportare la necessità di assunzione a termine di conducenti soprattutto Ncc, oggi senza lavoro. Stipulare convenzioni con le compagnie di taxi.

Non vi è bisogno di invocare il rasoio di Occam per sottolineare che le soluzioni più semplici sono normalmente quelle più efficienti. Gli interventi proposti, giuridicamente tutti approntabili a legislazione invariata, sono in grado di abbattere drasticamente la circolazione del virus.

Essi hanno ovviamente un costo che necessita di reperire le risorse col debito pubblico. Si può però osservare che, secondo il pensiero del presidente del Consiglio, si tratta in questo caso di un debito “buono”, un investimento infrastrutturale necessario cioè per consentire la ripresa della vita economica della nazione e quindi la fruttuosità degli altri investimenti previsti dal Recovery Plan.

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