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“PiS-exit o Polexit?” questo è il dilemma.

Alla fine dei conti, sarà Prawo i Sprawiedliwość, il partito di Jarosław Kaczyński, ad abbandonare gli scranni del governo oppure la Polonia a congedarsi da Bruxelles?

A seguito della decisione di giovedì, emessa a maggioranza e con soli due voti contrari, da parte del Tribunale Costituzionale, relativa allo scontro giuridico con la Corte di Giustizia dell’Unione europea, l’opinione pubblica si frantuma in due fazioni: i sovranisti, pronti a rivendicare l’autonomia dello Stato polacco rispetto ai trattati, e i filo-europei, impegnati nel mantenere salda la cooperazione con le autorità dell’Unione e il processo di integrazione.

Secondo la sentenza, sono molteplici i contrasti che emergono tra la Costituzione polacca e la giurisdizione europea. La prima contraddizione riguarda le competenze degli organi dell’Unione non esplicate nei Trattati.

In più, sorge la questione delle disposizioni europee che consentono alle autorità giudiziarie nazionali di appurare la legittimità della nomina di un giudice da parte del Capo dello Stato. Stando alla lettura del Presidente del Tribunale Costituzionale, Julia Przyłębska, le direttive europee non possono eclissare la volontà e il potere di autodeterminazione dello stato polacco.

Eppure, dando una sbirciatina all’art. 9, si evince che la Costituzione polacca è vincolata al rispetto del diritto internazionale, ergo le istituzioni di Varsavia non possono appellarsi all’ordinamento nazionale per eludere gli obblighi derivanti da un trattato internazionale.

Come può il PiS dichiarare incostituzionali i principi della Costituzione?

È l’interrogativo che assilla il Professore Marek Chmaj, noto costituzionalista, ex militante dell’“Unione della gioventù socialista” e Vice Presidente del Tribunale di Stato dal 2019.

“Non credo sarà uno shock per Bruxelles” afferma Chmaj, commentando la sentenza “Sostanzialmente, il Tribunale Costituzionale ha decretato la superiorità del diritto polacco sul diritto dell’UE. Nel 2004 siamo entrati a far parte dell’Unione. La condizione del nostro ingresso era accettare l’acquis del Trattato, adottarne l’ordinamento giuridico e trasferire alcune competenze degli organi statali agli organi dell’Ue.

Dov’è l’incompatibilità? Abbiamo accettato i Trattati, compreso quello di Maastricht. E ancora, come possiamo pretendere di usufruire del Recovery Fund dopo aver calpestato i valori delle democrazie liberali: lo stato di diritto, la separazione dei poteri, l’indipendenza dei tribunali e dei giudici?

Ma Bruxelles conosce i meccanismi che regolano il Tribunale nel nostro Paese, ha avuto tempo e modo di approfondire la situazione politica. Quindi, tutti faranno finta di nulla”.

Ma se il 14 luglio, a seguito dell’ordinanza che prevede l’immediata sospensione dell’applicazione delle norme attinenti alle competenze della camera disciplinare, la vicepresidente della Corte di Giustizia Ue Rosario Silva de Lapuerta liquidò il “caso polacco” con battute laconiche e sentenziose, ora ridurre le distanze e le diffidenze politico-diplomatiche sarà molto più arduo.

A difesa delle rivendicazioni espresse dall’esecutivo di Morawiecki si schierano Viktor Orbàn, Giorgia Meloni e Marine Le Pen, viceversa il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta posta in un tweet “La notizia è che la Polonia attacca alle fondamenta la struttura giuridica della costruzione Ue. Si tratta, di un ritorno indietro. Sbagliato e pericoloso. Che va combattuto”.

Un campanello d’allarme lanciato e accolto anche da David Sassoli e Ursula Von der Leyen. Mentre, il Presidente dell’Europarlamento chiede alla Commissione “di intraprendere l’azione necessaria”, la Presidente della Commissione Europea ribadisce con fermezza che “il diritto Europeo manterrà il primato su quelli nazionali” e che verranno utilizzati tutti gli strumenti necessari per garantirlo.

Nonostante il Premier Morawiecki assicuri che la Polonia rimarrà incastonata nel firmamento delle nazioni europee, la rottura avvenuta giovedì comporterà il moltiplicarsi di una serie di rigetti, a firma dei giudici europei, delle richieste polacche inerenti casi giudiziari ben più gravi. Non è da escludere che lo scambio di informazioni in casi di “cross-border” venga messo in standby.

La verità è sotto gli occhi di tutti: Kaczyński, per soddisfare l’istinto anti-europeo del ministro della Giustizia Ziobro, ha trascinato Mateusz Morawiecki in un angolo, radicalizzando ancora di più l’elettorato del PiS, e isolando la Polonia.

L’opposizione, Lewica in primis, presidia i social reclamando a gran voce l’ancoraggio all’Unione e rivelando le gravi ricadute economiche che sorgeranno a breve.

Infatti, anche se la Polexit rimane una nube al di là dell’orizzonte, come può la Polonia gestire la transizione energetica, avviare il magnifico “Polish Deal” senza contare sui fondi europei?

Delle due l’una: a vincere sarà l’eredità di Aleksander Kwaśniewski, il Presidente che traghettò la Polonia del post ’89 nella modernità e nel sogno europeo, oppure il PiS.

Una cosa sembra certa: nessuno dei due può sperare in un futuro, se l’altro sopravvive.

O la Polonia lascia l'Unione europea, o il PiS lascia il governo?

La Costituzione polacca è vincolata al rispetto del diritto internazionale, dunque le istituzioni di Varsavia non possono appellarsi all’ordinamento nazionale per eludere gli obblighi derivanti da un trattato internazionale. Fino a dove porterà la crisi con Bruxelles innescata dal partito di Jarosław Kaczynsky?

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