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“Le elezioni per la successione Quirinale sono ancora troppo lontane nel tempo. E, comunque, i miei candidati sono già troppo avanti con l’età». Incanutiti sul crinale della saggezza. “Gli unici nomi spendibili? Giuliano Amato e Romano Prodi”. Piero Ignazi, politologo e docente dell’università di Bologna non azzarda previsioni su una partita ancora distante. Eppure, anche in questi giorni, se ne parla. Paolo Cirino Pomicino, su Formiche.net, ha sostenuto che il Pd non appoggerà Mario Draghi nella corsa quirinalizia, preservando invece la sua posizione come premier. Ma l’errore primigenio è stato quello di “far cadere il governo Conte”.

Professor Ignazi, perché le dimissioni di Conte sono state un errore?

Perché con ogni probabilità ci siamo giocati definitivamente la possibilità di avere come presidente della Repubblica una figura di spessore come Mario Draghi. Se invece fosse rimasto il governo con a capo Giuseppe Conte, il nome dell’ex presidente della Bce sarebbe stato spendibile per il Quirinale tra qualche mese.

Forse però, le pressioni erano talmente alte (anche nel Paese) che non ci sarebbero state molte alternative.

Non c’è dubbio che le pressioni fossero altissime per far cadere il governo di Conte. In questo la mia opinione collima perfettamente con quella di Goffredo Bettini. Tuttavia, un’alternativa c’era.

Ovvero?

Il ‘modello Ciampi’. Si poteva assegnare un incarico provvisorio a Draghi con due obiettivi. Il primo legato al Recovery Fund: portare a casa i risultati europei, facendo leva sui suoi rapporti internazionali e sulla sua consolidata esperienza in questo senso. In secondo ordine, l’accelerazione della campagna vaccinale. Portati a termine questi due risultati, Draghi si potrebbe dimettere e, concordemente, si potrebbe decidere di tornare alle urne. A quel punto la via per il Quirinale sarebbe spianata.

Secondo lei gli strali fra il Pd e la Lega avranno degli effetti determinanti sull’elezione del prossimo capo dello Stato?

La vera questione è capire quale sarà l’atteggiamento della Lega. Mi pare che il problema non sia il Partito Democratico. Anzi, coerentemente coi suoi principi, il Pd ha spalleggiato Draghi fin dall’inizio. E, a mio giudizio, lo appoggerebbe anche nell’ascesa al Colle.

Secondo lei quanto può durare questo Esecutivo così variegato e, specie in queste ore, attraversato da tensioni interne a tratti altissime?

Questo esecutivo non può cadere per definizione. L’unico elemento di reale instabilità è la Lega. Salvini potrebbe essere l’unico che crea problemi. La soluzione, però, è presto detta: visto che i numeri ci sono con o senza il Carroccio, se la Lega uscisse dal Governo e andasse all’opposizione con Fratelli d’Italia, ne trarremmo beneficio tutti.

I suoi candidati ideali, ha detto in premessa, sarebbero Giuliano Amato e Romano Prodi. Ma non ci sarebbe il rischio dell’effetto déjà vu?

Sono fuori target a livello di età, ma sicuramente giganteggiano per spessore politico e competenza. Draghi è la soluzione migliore e non vedo altri possibili candidati, ad oggi.

Il testimone di Sergio Mattarella non sarà certo facile da ereditare. Come giudica il suo operato?

Mattarella è partito in sordina, come si accorda a tutti i presidenti appena nominati. Ora, ogni giorno, sento una sua dichiarazione citata da un servizio giornalistico. Non vorrei che fosse entrato in un circolo mediatico e in una sovraesposizione che poco giova alla sua figura. Detto questo, è stato un presidente che ha saputo essere apprezzato da tutti, senza ostilità manifeste. E questo, a mio giudizio, è un punto di grande vantaggio.

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