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Da Santa Maria Capua a Vetere il premier Mario Draghi e la ministra della Giustizia Marta Cartabia si sono spinti a fare una dichiarazione impegnativa: “Mai più violenze”. Il penitenziario nel quale il capo del Governo si reca con la guardasigilli è stato teatro del pestaggio che gli agenti hanno perpetrato nei confronti dei detenuti. “L’orribile mattanza”, l’ha definita il gip che si sta occupando del caso. “Ora più che mai – hanno detto Draghi e Cartabia – occorre una riforma dell’ordinamento penitenziario”. Per capire in che modo l’esecutivo con la riforma della Giustizia che sta portando avanti potrebbe agire efficacemente, abbiamo chiesto un parere al costituzionalista Michele Ainis, ordinario di istituzioni di diritto pubblico all’università di Teramo.

Professore, l’intenzione di revisionare il sistema carcerario non è certo di oggi. Ma, attraverso la riforma Cartabia, come si potrebbe intervenire in modo da imprimere un cambio di passo che si attende da tempo?

Innanzitutto occorre tagliare alla radice le ragioni del sovraffollamento del sistema carcerario. Fenomeno determinato da un numero esorbitante di fattispecie di reati previsti dal nostro ordinamento. Si può dire che c’è un eccesso di diritto penale, quando invece dovrebbe essere l’extrema ratio. Dunque, il primo antidoto al sovraffollamento che risolverebbe gran parte dei problemi che si verificano negli istituti carcerari è questo. Si potrebbero avere ambienti meno tossici.

Che cosa intende dire?

Molti fatti poco commendevoli che si verificano all’interno degli istituti penitenziari derivano proprio dall’eccessivo affollamento degli ambienti, che genera tensioni, comportamenti aggressivi, autolesionistici e sadici. Perciò ritengo che occorra partire da qui.

Dal punto di vista dell’ordinamento penale, come valuta le misure proposte dalla Guardasigilli?

La riforma Cartabia mi pare un tentativo onesto di contemperare due principi: la ragionevole durata del processo, la tutela del diritto alla difesa e l’esigenza dell’accertamento dei reati. Evitando peraltro che cadano in prescrizione 130mila delitti, come accade ogni anno nel nostro Paese.

Proprio la prescrizione, è tema delicatissimo e terreno di scontro politico. Qual è la sua idea?

In linea di massima l’impianto previsto dalla riforma proposta dl governo è condivisibile. C’è tuttavia un passaggio che non mi convince. E’ infatti previsto, per i reati più gravi, che si possano sforare i tempi fissati (sia in appello che in Cassazione), qualora se ne dovesse ravvedere la necessità. Fino a qui nessun problema. Quello che mi lascia perplesso è l’aver inserito tra i reati più gravi – punibili con l’ergastolo – il reato della corruzione.

E’ il frutto di una mediazione politica.

E’ evidente. Ma si corre il concreto rischio di trattare situazioni difformi in modo uguale. Questa irragionevolezza che scaturisce dal compromesso politico, rischia di non reggere dal punto di vista giuridico.

In linea generale, a livello di impostazione, l’impegno di Cartabia nella riforma è poderoso.

Certo. Ma in fondo una riforma si può valutare solamente in base alle situazioni di fatto nelle quali viene applicata. Già il fatto che la soluzione individuata dall’Esecutivo sia costituzionalmente compatibile non è cosa da poco. Tuttavia la riforma della Giustizia nel nostro Paese è un nervo scoperto. Siamo passati dall’essere iper garantisti all’essere giustizialisti fino al midollo. Il fatto che si prefigga come obiettivo quello di definire una ragionevole durata del processo, è già una svolta epocale. Sarebbe un grande cambiamento, una svolta per una situazione tutta italiana.

Carceri, durata del processo e corruzione. I suggerimenti di Ainis a Cartabia

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