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In un clima geopolitico sempre più teso, in queste ore i principali leader mondiali stanno affluendo verso la valle del Kananaskis, nel cuore delle Montagne Rocciose canadesi, dove si apriranno domani i lavori del G7. A ospitare il vertice è il nuovo primo ministro canadese Mark Carney, che ha voluto imprimere una svolta sin dal principio decidendo di non pubblicare il tradizionale comunicato congiunto di chiusura dei lavori, suggerendo così che il vertice in apertura sarà meno rituale e più politico, e dove le questioni “difficili” saranno probabilmente affrontate a porte chiuse, fuori dai tradizionali schemi della diplomazia multilaterale.

Sebbene l’agenda ufficiale includa anche temi economici e climatici, il conflitto in Medio Oriente (ma anche la guerra in Ucraina) sono destinati a monopolizzare l’attenzione dei capi di Stato. Secondo Peter Boehm, sherpa del G7 canadese del 2018, “l’agenda di politica estera si è espansa notevolmente e i leader dovranno trovare spazio per affrontare questi temi, forse anche con una dichiarazione”. Il primo ministro britannico Keir Starmer, parlando in volo verso il Canada, ha definito “essenziale” evitare un’escalation in Medio Oriente, pur riconoscendo “il diritto di Israele alla difesa”. Starmer ha avuto colloqui diretti sia con Trump che con Netanyahu per cercare una via diplomatica.

Oltre ai leader di Canada, Stati Uniti, Francia, Italia, Giappone, Germania e Regno Unito, il summit in Canada vedrà anche la partecipazione dell’Unione Europea e di altri leader invitati da Carney, tra cui il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, alla sua prima riunione con Donald Trump, e la presidente messicana Claudia Sheinbaum, al suo primo incontro diretto con Trump. Tra gli altri ospiti esterni al G7 vi saranno anche i capi di Stato di India, Brasile, Sudafrica, Corea del Sud, Australia, ed Emirati Arabi Uniti.

Per Giorgia Meloni, il summit sarà un banco di prova per riaffermare la linea italiana: fermezza sull’Ucraina, attenzione al fronte meridionale e volontà di posizionare Roma come ponte tra G7, Sud globale e Mediterraneo allargato. La presenza di leader come l’indiano Narendra Modi, del brasiliano Lula e del sudafricano Cyril Ramaphosa spingerà il G7 a confrontarsi con una platea internazionale sempre più articolata, a cui l’Italia guarda come opportunità di allineamento strategico in chiave euro-atlantica. In questo quadro, la posizione dell’Italia si distingue per la sua capacità di coniugare atlantismo e apertura al dialogo multipolare, con un approccio che punta a rafforzare la coesione interna del G7 ma anche a proiettarne l’azione verso le nuove realtà globali. Una postura che potrebbe contribuire a dare slancio a un G7 che, mai come quest’anno, somiglia più a un gabinetto di crisi planetaria che a un forum economico tradizionale.

Il summit Canadese può essere visto anche come un passaggio preparatorio in vista dell’importante appuntamento di Roma del 20 giugno, dove si terrà il vertice congiunto “The Mattei Plan for Africa and the Global Gateway: A common effort with the African Continent”. Co-presieduto da Meloni e dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, l’incontro riunirà a Villa Pamphilj i leader dell’Unione Africana, di Angola, Zambia, Repubblica Democratica del Congo e Tanzania, insieme ai vertici delle principali istituzioni finanziarie multilaterali, con l’biettivo dichiarato di rafforzare la convergenza tra l’approccio italiano e quello europeo allo sviluppo africano, consolidando la sinergia tra Piano Mattei e Global Gateway. Un’agenda che punta a “europeizzare” il protagonismo italiano in Africa, offrendo uno strumento di proiezione strategica che integri investimenti infrastrutturali, cooperazione energetica e partenariati produttivi.

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