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Nonostante la pandemia ci sono alcune porte che non si sono chiuse. Una di questa è la porta del Centro Astalli, la sezione italiana del Jesuit Refugee Service, attiva a Roma e in altre città italiane che proprio nell’anno del lockdown ha aperto una nuova sede: Bologna. La presentazione dell’annuale dossier immigrazione del Centro Astalli è stata dunque l’occasione per tornare a vedere il mondo scomparso con la pandemia. È il mondo degli 80 milioni di migranti forzati, 45 milioni dei quali sono sfollati interni, cioè rimasti nei confini nazionali, anche perché complice la pandemia molti paesi hanno chiusi i loro confini o scelto la politica “no refugees”. Il diritto all’asilo svanisce nelle nebbie della pandemia e del disordine mondiale.

Tra i Paesi che inondano il mondo di profughi il triste primato se lo contendono Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar. Dietro il gruppo di testa avanzano purtroppo nuovi protagonisti, come la popolazione del Tigrai, al centro del feroce e rimosso conflitto etiopico che coinvolge l’Eritrea. In questo contesto globale la distinzione tra profughi e migranti economici appare un esercizio di stile impossibile: oggi esistono i migranti forzati, in fuga da guerre, razzie, violenze, disastri ambientali, persecuzioni, terrorismo. Quella del migrante economico appare una categoria-nicchia.

Il Mediterraneo è un luogo cruciale, con le rotte balcanica e libica, dove i lager per migranti sono oggetto di una rimozione o sostituzione con figure che non danno conto della realtà, come fa chi parla di “salvataggi” da parte della guardia costiera libica. Vale la pena vedere nel dettaglio cosa scrive al riguardo il Centro Astalli: “Il 2020, l’anno segnato dallo scoppio della pandemia da Covid-19, dal lockdown e dalle misure restrittive per arginare la diffusione dei contagi, ha registrato un aumento degli arrivi via mare di migranti in Italia (34mila), dopo due anni di diminuzione (23mila nel 2018 e 11mila nel 2019).

Per molti migranti forzati la pandemia non è quindi il peggiore dei mali da affrontare. Violenze, dittature, profonde ingiustizie sociali ed economiche costringono quasi 80 milioni di persone nel mondo a mettersi in cammino verso un paese sicuro.

Allo stesso tempo però sono diminuite le richieste d’asilo in Italia: 28mila (contro le 43.783 del 2019). Nonostante numeri decisamente bassi di arrivi rispetto al recente passato, il sistema di protezione fatica a rispondere efficacemente ai bisogni delle persone approdate nel 2020 o già presenti sul territorio. In un anno di accompagnamento dei migranti forzati, complice la pandemia, il Centro Astalli ha registrato un aumento degli ostacoli frapposti all’ottenimento di una protezione effettiva, un intensificarsi del disagio sociale e della marginalizzazione dei rifugiati”.

L’altro punto rilevante è dunque la descrizione dei luoghi dove si trovano coloro che non riescono a giungere in Italia: “Primi esclusi dalla protezione internazionale sono gli sfollati interni che rimangono bloccati nei confini degli Stati da cui scappano, sempre più invisibili, non riescono a raggiungere un Paese sicuro, in cui chiedere protezione. L’aver bloccato gli ingressi a causa della pandemia (durante il primo picco, 90 Paesi hanno chiuso completamente le frontiere anche ai richiedenti asilo), la mancanza di azioni di soccorso e ricerca nel Mediterraneo centrale da parte di governi e Unione europea, l’aver fortemente limitato le azioni delle Ong, finanziando invece attività di ricerca e respingimento da parte della guardia costiera libica, non ha bloccato i flussi irregolari di migranti ma ne ha reso solo meno visibili le conseguenze. Nel 2020 sono stati oltre 11.000 i migranti soccorsi o intercettati nel Mediterraneo, riportati in Libia e lì detenuti in condizioni che le Nazioni Unite definiscono inaccettabili. A questi si aggiungono le oltre 1.400 vittime accertate di naufragi nel corso del 2020. Anche quest’anno molte delle persone che si sono rivolte al centro SaMiFo (Salute Migranti Forzati) sono state vittime di gravi violenze in Libia. Riferiscono di essere state torturate, ma anche di aver subito percosse e abusi indiscriminati. Nel 2020 il SaMiFo si è trovato a certificare inoltre le violenze inferte nei Balcani dalle forze di polizia e quelle causate dai respingimenti alla frontiera tra Italia e Slovenia”.

Con padre Camillo Ripamonti, presidente del Centro Astalli, è intervenuto il cardinale Tagle, presidente di Caritas Internationalis, che ha parlato di “migrante costretto” a fuggire e che “racconta”. Racconta la vita di una fuga attraverso lo sconosciuto per giungere in luoghi sconosciuti. Per il cardinal Tagle la pandemia non poteva che aggravare questo racconto facendoci perdere di vista come ogni migrante sia un ponte tra il luogo d’origine e quello di approdo, ma anche tra strutture, persone, reti, burocrazie, apparati, volontari, problemi, prospettive. In definitiva ogni migrante per il cardinale Tagle è uno specchio che incontriamo per strada e che ci dice chi siamo.

La pandemia e 80 milioni di invisibili. Il rapporto del Centro Astalli sulle migrazioni

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